giovedì 10 settembre 2009
XXIV Domenica
Tempo Ordinario Anno B

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». (...) Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». (...)E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». (...)

La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo? Dicono che sei un profeta: una creatura di fuoco e roccia, di fuoco e luce, come Elia, come il Battista; dicono che sei voce di Dio e suo respiro. Gesù non si sofferma oltre su ciò che dice la gente. Lui sa che la verità non risiede nei sondaggi d'opinione. E pone la grande domanda, quella che fa vivere la fede: E voi, chi dite che io sia? Una domanda da custodire e amare, perché il Signore ci educa alla fede attraverso domande: tu, con il tuo cuore, la tua storia, il tuo peccato e la tua gioia, tu, cosa dici di Gesù?
Ora non servono più libri o formule di catechismo; ognuno uscito dalle mani di Dio, ognuno caduto e risorto, affamato e incamminato deve dare la sua risposta. La Bibbia è piena di nomi di Dio - pastore, sorgente, fuoco, rugiada, vino, amante, braccio forte, carezza -: a Dio si addicono tutti i nomi. Un salmo lo chiama «roccia e nido» (84,4); un altro «sole e scudo» (5, 13), ma è ancora «ciò che la gente dice», anche se con parole sante. C'è un ultimo nome, il nome che gli dà il mio patire e il mio gioire, che contiene il mio sapore di Dio, che viene dall'averlo molto cercato, qualche volta sentito, in qualche modo sfiorato con le dita dell'anima: tu sei il Cristo. Non una persona di ieri, come Elia o il Battista, non un ricordo, niente sei tra le cose passate.
Ma Cristo cos'è «per me»? Per me vivere è Cristo, ha detto Paolo; per me, adesso, Cristo significa vivere. Già solo nominarlo equivale a confortare e intensificare la vita,
più Cristo equivale a più io. E cominciò a insegnare loro che il figlio dell'uomo doveva molto soffrire. Pietro si ribella, come mi ribello anch'io. Un Dio di molto patire non è ciò che mi attendevo. Posso seguire le indicazioni spirituali di Gesù, le sue regole morali mi convincono, mi seduce un Gesù guaritore e camminatore, accogliente e amicale, libero come nessuno, posso avere gli stessi suoi sentimenti. Ma la croce! La croce è l'impensabile di Dio, il mezzo più scandalosamente povero, ma è anche l'abisso dove Dio diviene l'amante, amore fino alla fine, senza inganno alcuno, Dio affidabile.

Solo allora i discepoli capiranno chi è Gesù: disarmato amore, crocifisso amore, e per questo vincente. Se qualcuno vuol venire dietro di me, prenda su di sé una vita che sia simile alla mia, che sia croce e dono, non per patire di più, ma per far fiorire di più la zolla di terra del cuore, e poi essere nella vita datore di vita. Come Lui.
(Letture: Isaia 50,5-9a; Salmo 114; Giacomo 2,14-18; Marco 8,27-35).
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