venerdì 10 giugno 2011
Con mia gradita sorpresa ieri sul Foglio ho trovato un bell'articolo di Francesco Agnoli (p. 2: "Dolore e medicina"). Presentando "Eros greco e amore cristiano" di Marco Fasol (Ed. "Fede e Cultura") egli ricorda che «la cura degli esseri umani» sofferenti è divenuta realtà diffusa grazie al cristianesimo. Greci e romani ebbero grandi medici, non ospedali: «la medicina nasce dall'intelligenza umana», dal «pensiero che pensa se stesso», ma la cura dei malati, prossimità nel dolore, nasce dall'amore che esce da sé per donarsi. La divinità dei greci pensa ed è pensata: perfetta, può essere amata dagli umani, ma non parla, non si rivela. Come tale non ama, e chi la pensa non ha alcun dovere di amare gli uomini deboli, ammalati, abbandonati e sofferenti. Da Platone ad Aristotele, a Epicuro e " qui aggiungo " a Spinoza e forse fino ad oggi all'interno della filosofia moderna, l'uomo può anche amare il Divino, e dovere supremo del sapiente è " parola di Spinoza " «l'amore intellettuale di Dio-Natura», ma l'uomo come tale non è oggetto di amore, bensì di conoscenza, come nel celebre spinoziano «humanas actiones non lugere» («le azioni umane non vanno compiante, non vanno derise, non vanno condannate, ma vanno capite»). Qui anche il segreto di morte delle ideologie moderne totalitarie" Il dovere di amare l'uomo come tale, e anzi di amarlo come si ama se stessi, e persino come lo ama Dio stesso, è frutto della rivelazione biblica di un Dio che si rivela, parla, ama e nelle sue "dieci Parole" annuncia di essere "unico" e chiede di essere amato e riconosciuto nella sua immagine somigliantissima, che è l'uomo, ogni uomo, anche e soprattutto "l'ultimo" e il "piccolo". Grazie, Agnoli!
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