venerdì 26 ottobre 2018
Nel giugno del 1983 Leo Loewenthal, eminente sociologo della letteratura e già membro, prima del nazismo, della Scuola di Francoforte, fu chiamato alla Libera Università di Berlino per ragionare sul cinquantenario dei roghi dei libri voluti da Hitler e da Goebbels nella Germania appena nazistizzata. La sua conferenza I roghi dei libri venne prontamente stampata da una grande casa editrice, la Suhrkamp, e proposta dal Melangolo ai lettori italiani in un volumetto della bella collana “nugae”. Lo riprendo in mano con qualche emozione, ripercorrendo la storia su cui l'autore riflette, che è una storia dell'intolleranza religiosa, dell'intolleranza politica e dell'intolleranza in assoluto, ed è una storia che riguarda tanti paesi e tante, forse tutte, le epoche della storia. Ogni nuovo potere autoritario ha voluto sbarazzarsi, bruciando i libri col pensiero dei suoi nemici, di un pensiero pericoloso per il suo dominio (e a volte bruciando anche chi quei libri aveva scritto!). Si trattava anche della volontà di liberarsi della cultura precedente, e in nome di una nuova organizzazione sociale, anche molto migliore della precedente. Racconta nelle sue memorie il grande Buñuel che nel 1936 fece parte, esaltato dalla vittoria della Repubblica in Spagna, di un gruppo di anarchici che aveva deciso di far saltare la chiesa della Sagrada Familia a Barcellona, un capolavoro della modernità architettonica opera del grande Gaudí, e che ne vennero impediti con la forza dagli abitanti del quartiere, pur non meno rivoluzionari e repubblicani di loro! Era il loro vanto ed era la loro chiesa. Si bruciarono nei roghi tanti capisaldi del pensiero, della riflessione umana. Penso all'oggi e constato un paradosso: a ben vedere i roghi dei libri ci sono ancora, anche se fisicamente non si ricorre più al fuoco ma, lontano dalle piazze, alle macchine che frantumano milioni di libri macerandoli. Dove finiscono i milioni di copie dei libri che riempiono per una o due settimane i banconi delle librerie, subito scomparendo per essere sostituiti da altri milioni di copie? Immagazzinarli tutti (in attesa di che?) è matematicamente impossibile, e allora li si manda al macero, che è, a ben vedere, un modo moderno di mandarli al rogo. Ma se tra quei libri ce ne sono a volte anche di ottimi, perlopiù si tratta semplicemente di merce, una merce come altre, una merce che, se non venduta, diventa presto ingombrante, e superflua. La differenza col passato è che oggi si “bruciano” milioni di libri insignificanti, non i capolavori del pensiero e dell'arte, non libri fondamentali, necessari. Su questo paradosso dovrebbero riflettere non tanto gli editori-mercanti quanto le migliaia di scrittori e di aspiranti tali.
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