Sulle orme di Mario Dondero: quanto "oro per le strade"
venerdì 30 giugno 2023

«Un giorno stavo passeggiando con mio padre in Corso Magenta. Un uomo molto elegante, di una certa età, si appoggia al palo giallo del semaforo per stare in equilibrio e sollevare un piede per potersi allacciare una scarpa. Un gesto vagamente puerile, un po’ intimo seppur molto esposto. E ricordo le parole di papà: “Sarebbe una foto bellissima questo signore in equilibrio su un piede solo, ma non la scatterò. Chi sono io per rubargli questo atto di intimità?” . Ecco, mi rassicura sapere che ci siano dei padri imperfetti, ma uomini straordinari, capaci di rispettare una persona, anche non scattando una foto». Maddalena Fossati Dondero restituisce con questo aneddoto semplice, ma profondo, il ritratto di papà, Mario Dondero, uno dei protagonisti della fotografia italiana della seconda metà del Novecento. Un grande che ha fatto dell’umanità la sua cifra distintiva. Un girovago gentiluomo, un flâneur che sulla scia di Baudelaire andava a zonzo con due macchine fotografiche, una Nikon e una Leica, per raccontare quello che vedeva. La realtà, la quotidianità, senza filtri, senza costruzioni. L’Italia e il mondo visto al ritmo di “un passo e una fermata”, insieme a chi lo accompagnava nel suo andare, lui fotografo senza patente, apparentemente senza meta. «Il fotografo va a piedi». E camminava Dondero, fra infinite soste. Non a caso un suo fortunatissimo libro si intitola Donderoad. E quando a un certo momento della vita sceglie il suo buen retiro, dove va? A Fermo, nelle Marche. Come un ossimoro.

A Mario Dondero (1928-2015) Palazzo Reale (Appartamento dei Principi, fino al 6 settembre) dedica un’ampia, la prima, retrospettiva intitolata La libertà e l’impegno. Una mostra promossa da Comune di Milano – Cultura, prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale (che pubblica anche il catalogo, pagine 160, euro 30) in collaborazione con l’archivio Mario Dondero e curata da Raffaella Perna. «La straordinaria esposizione a Palazzo Reale – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi – celebra l’eredità di uno dei protagonisti della fotografia italiana attraverso un percorso tra fotografie iconiche e scatti inediti». Una selezione di immagini dagli anni Cinquanta agli anni Dieci del XXI secolo, scelti da un archivio di oltre 500mila immagini. Insieme a molte tra le fotografie più iconiche di Dondero, in mostra sono presentati diversi scatti inediti, tra cui alcuni ritratti di Pier Paolo Pasolini e Laura Betti, ma anche di Carla Fracci, le foto della migrazione interna al Paese, il processo di alfabetizzazione, il lavoro rurale, le manifestazioni politiche e sindacali, l’attività dei pescatori a Chioggia, e gli “sguardi sul mondo”: l’Africa, i primi viaggi in Portogallo sino alle foto a Kabul negli anni Duemila, passando per le immagini realizzate nel 1968 in Irlanda, e certamente la Francia, Parigi, dove «tra un soggiorno e l’altro» ha vissuto per quarant’anni e di cui aveva «sempre amato due cose: la Rivoluzione francese e la fotografia in bianco e nero di Brassaï, Willy Ronis, Henri Cartier-Bresson e molti altri».

Il gioco degli sguardi in un bistrot, Parigi, 1955.

Il gioco degli sguardi in un bistrot, Parigi, 1955. - Mario Dondero

Scegliamo una foto, questo incantevole gioco di sguardi in un bistrot di Parigi che vale più di mille parole, sì, ma in realtà non c’è una immagine che conta più di altre, scorrendo il lascito di Mario Dondero. Le unisce uno stile, l’assenza del sensazionalismo, l’elogio della normalità. «Mario Dondero - ricorda Domenico Piraina, direttore di Palazzo Reale - è una di quelle personalità che i francesi definirebbero incontournable, sia nel senso di “inevitabile”, vale a dire una figura di cui non si può evitare la cognizione se si vuole conoscere la storia della fotografia italiana, sia nel senso di “incircondabile”, perché la sua produzione è stata inverosimilmente vasta, ricca e varia». Dondero era così, semplice e straordinario. Con la macchina fotografica e nella vita, fra gli amici del Bar Jamaica, la sua seconda casa milanese, nella Brera bohémienne dove ha vissuto gomito a gomito con l’amico fotografo Ugo Mulas. Ma anche con la letteratura di un altro amico, Luciano Bianciardi e il senso della sua Vita agra. «Fotografare la vita è come raccogliere l’oro per la strada, tu cammini e ti imbatti in situazioni che ti propone il caso, l’importante è avere i sensi all’erta e captare le situazioni». Con queste parole - nota Raffaella Perna - Dondero «restituisce il senso profondo del suo lavoro fotografico, sviluppato lungo l’arco di sei decenni spesi a documentare la storia “dalla parte dei deboli”, animato da un impegno civile e un sentimento di empatia che rimangono tra i suoi lasciti più duraturi. In oltre mezzo secolo di attività, di “oro per la strada” Dondero ne ha raccolto molto, sino ad accumulare un vero tesoro, fatto di migliaia di volti, persone, storie, luoghi».

Un tesoro che si può scoprire a Palazzo Reale, a Milano. Consapevoli che c’è un altro tesoro, di scatti non fatti. Per rispetto. Come quello dell’elegante signore di Corso Magenta.

Una foto e 801 parole.

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