giovedì 22 aprile 2021
Decenza ordinaria: dice il filosofo francese Bruce Bégout: «Gran parte delle relazioni quotidiane sono basate su una ordinaria decenza», quella che in italiano si potrebbe tradurre "pubblica decenza". Si tratta di un'etica "ordinaria", che non ha bisogno di grandi riferimenti religiosi o morali, ma di un senso normale del modo di tenere con gli altri un comportamento che non li danneggi e non ci danneggi. Questa "decenza" non è meno importante delle grandi motivazioni ideali e anzi ne colma il vuoto quando si tratta delle faccende quotidiane che non richiedono eroi, ma solo un senso della convivenza civile.
È quello di cui si occupano in genere gli antropologi. Cosa tiene in piedi un gruppo umano perché continui a vivere insieme con un senso dell'interesse comune? Dalle tribù amazzoniche al vicinato, dalle reti amicali alla relazione con gli sconosciuti "vicini", gli antropologi sanno che ci sono delle regole che la gente si dà perché la convivenza sia il più decente possibile. Nell'ultima intervista in rete rilasciata da Marshall Sahlins, uno dei più grandi antropologi del XX e XXI secolo, da poco scomparso, il grande esperto dei fondamenti simbolici dell'attività pratica ricorda l'attenzione etica della propria disciplina. Comporta un normale "prendere posizione", nel suo caso una lunga battaglia contro il razzismo negli Stati Uniti, ma anche contro l'interferenza del governo cinese, attraverso gli Istituti Confucio, nelle attività delle Università americane. Si tratta però sempre di una morale per la vita quotidiana, quella di cui appoggiandoci a Sahlins ci siamo occupati con Piero Zanini qualche anno fa, in un testo dallo stesso titolo, poi tradotto a Chicago da Marshall Sahlins. Scoprendo che è un fenomeno presente in buona parte delle società: una maniera silenziosa, non scritta, modesta ma pervasiva di trattare e farsi trattare bene.
Sono regole che somigliano al galateo più che a una morale "alta", ma che impediscono alla gente di fare e di farsi troppo male. La loro qualità è l'elasticità, la capacità di adattarsi alle circostanze e ai cambiamenti, insomma il contrario di un moralismo e qualcosa che tiene in conto l'ambiguità degli esseri umani.
Somigliano alle abitudini e al loro mutare, sono la parte costituente di una "informalità" che crea e mantiene distanze, evita certe cose e ne privilegia altre. È un'arte di vivere, a volte una vera e propria estetica, un "tratto". È quello che troppi nostri politici hanno imparato a ignorare totalmente visto che si sono sottratti per funzione a quella vita quotidiana che li obbligherebbe a una certa decenza. La faccenda non riguarda solo certi politici che della volgarità e dell'aggressività hanno fatto il loro stile, ma tutti i politici a cui manca ormai una visione vera della realtà quotidiana del Paese in cui vivono.
Questa ignoranza antropologica la si paga cara, nel senso che sono i cittadini a farne le spese. Se i politici ignorano il modo con cui i cittadini organizzano la propria vita quotidiana possono usare termini imbarazzanti come "congiunto", possono ignorare i legami che sorreggono la società, l'amicizia, la mutualità, il rispetto, possono essere miopi rispetto alla continua riformulazione dei legami e della vita quotidiana, un lavoro che in questi tempi di "regole" poste da politici (e che hanno un carattere distruttivo più che curativo) è sempre più difficile. La gente segue regole "esterne" solo se riesce a vederne la natura profonda: altrimenti farà di tutto per fare finta di rispettarle e poi volterà le spalle a quelli che le fanno e che di vita vera non capiscono nulla.
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