domenica 12 giugno 2016
I quotidiani sono ghiotti di notizie sui personaggi della politica, dello sport e del cinema. Così l'intervento sul cuore di Berlusconi, le morti di Pannella e di Muhammad Ali hanno riempito fin troppe pagine. Ma in che modo? La Repubblica, per esempio, non ha risparmiato (venerdì 10) i molti risvolti della condizione dell'ex cavaliere. Così, sulle sue prime cinque pagine, ha dedicato una quindicina di titoli alla disavventura dell'ex premier compreso il rischio (per fortuna superato) di un esito tragico. I medici si sono detti certi che tutto andrà bene e fra un mese l'impaziente paziente tornerà come prima. Nel frattempo e invece di pensare alla salute, l'ex leader rielabora i suoi progetti: una convention, un nuovo partito, un nuovo nome, e poi Fitto e Verdini. Il guaio è che l'abbondanza di titoli e di incipit drammatici poteva dare l'impressione che il protagonista fosse già da considerarsi "compianto" o quasi. Ecco un po' di quell'abbondanza: «I due corpi del re e la grande illusione», «Il corpo dà e il corpo prende», «Dalla discesa in campo allo stop del chirurgo», «Dei suoi vent'anni non rimane niente», «La malattia di Silvio Berlusconi è destinata a pesare sul futuro del centrodestra», «Non ha eredi quel fragile gradasso», «La corsa dei colonnelli a salvarsi» è già cominciata con la «Sfida Parisi-Carfagna per il vertice». Non occorre essere berlusconiani (chi scrive non lo è), ma basta un po' di spirito cristiano per capire che nei confronti di qualsiasi persona (anche se politicamente avversaria e in certe scelte di vita criticabile) si dovrebbe usare la misericordia di un po' di delicatezza che attutisca le emozioni del paziente e ne alimenti invece la speranza. Certe durezze di cronaca e certi calcoli sul "dopo" suggeriscono sospetti su chi li fa e possono causare conseguenze che, chiunque sia a rischiarle, si sperano non volute nemmeno da chi le provoca.L'ULTIMO PUGNODi un altro personaggio e con una retorica sproporzionata al merito i media hanno celebrato in prima pagina la morte. Era quella dell'eccezionale campione di pugilato Cassius Clay, un afro-americano convertito all'islam con il nome di Muhammad Ali e molto impegnato nella campagna per l'uguaglianza dei neri. Due foto in molte prime pagine mostravano il suo possente pugno chiuso dietro il quale quasi scompariva il suo volto e il pugile che si girava a guardare l'avversario crollare dopo un suo uppercut. Erano le foto dell'«ultimo pugno» del «più grande pugile della storia». Ma erano anche le immagini dello sport meno sportivo: i due pugili gareggiano non per superare l'avversario, ma per abbatterlo. Non è questo lo spirito dello sport. Ho conosciuto, anni fa, un pugile, un bel ragazzo che faceva le pulizie in un "bar dello sport". Visibilmente intontito dai pugni ricevuti, non era in grado di fare altro.
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