mercoledì 6 luglio 2016
Il pensiero dominante (non in senso leopardiano, bensì secondo la vulgata che va sotto l'abusato nome di "politicamente corretto") ferisce scagliando dardi di parole/epiteti come, nell'antico Egitto, si lanciavano incantesimi e scongiuri. Ritieni che l'omosessualità non sia sempre e comunque una conquista civile? Sei bollato come "omofobo", ed è inutile protestare che tu gli omosessuali li rispetti di gran cuore, pur non condividendo il loro comportamento. Ti pare che il dovere di accoglienza verso gli immigrati presenti aspetti problematici, in senso quantitativo e qualitativo, constatando che gli attentati terroristici in nome di Allah nei Paesi europei non sono compiuti da guerriglieri paracadutati, ma da arabi di seconda generazione, nati in Francia o in Belgio, mettendo in crisi l'osannato "multiculturalismo"? Sei "razzista", non hai diritto di parola."Razzista": questo stigma ha colpito dal 2012 Richard Millet, apprezzato romanziere e critico francese, ostracizzato dalla casa editrice Gallimard, dove aveva reso importanti servigi, a seguito dell'anatema scandito da un centinaio di "intellettuali", che ricorda sinistramente l'appello contro il commissario Luigi Calabresi, lanciato dal fior fiore dell'intellighenzia italiana nel 1971. Millet ha un bel dire di non essere razzista: ormai l'ingiuria gli è impressa sulla fronte, come la lettera scarlatta sul petto di Hester nel romanzo di Hawthorne.Il caso Millet è illustrato molto correttamente da Renato Cristin, professore di Ermeneutica filosofica nell'Università di Trieste, nell'introduzione al saggio di Robert Millet L'antirazzismo come terrore letterario, pubblicato da Liberilibri (Macerata 2016, pp. 96, euro 15).Il reato d'opinione di Millet è riassumibile in queste sue stesse parole: «Aver stabilito un nesso fra l'immigrazione di massa e le diverse forme di decadenza europea, soprattutto in materia di cultura, e in particolare di letteratura». Insomma, Millet mette sotto accusa il multiculturalismo, imputandogli la perdita d'identità della Francia (e, in generale, dell'Europa), immemore, tra l'altro, «che la verità dell'Europa è cristiana». Tesi che si può certamente discutere, ma con argomenti, non stoppando il dibattito tacciando di razzista Millet. «I professionisti dell'antirazzismo – scrive Cristin – non assomigliano forse a quelli che Sciascia chiamava "i professionisti dell'antimafia", tanto mafiosi quanto quelli che dicono di combattere?». Parafrasando Ennio Flaiano («In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti»), si può ben dire che i razzisti sono di due specie: i razzisti e gli antirazzisti. Millet non è razzista, condivide l'opinione di un insospettabile come Claude Lévi-Strauss, il quale sosteneva che «non si può imporre dall'alto e per decreto, la tolleranza a popolazioni molto diverse che si trovano in stretta contiguità». Il grande antropologo s'interrogava (e Millet con lui) «sulla soglia di tolleranza da non oltrepassarsi per quanto riguarda il numero degli stranieri che s'istallano in un Paese, soprattutto se lo fanno nell'intento di non assimilarsi alla popolazione indigena».In controtendenza rispetto all'ostilità che le organizzazioni politicamente corrette, a cominciare dall'Onu, riversano su Israele, Millet reclama un'alleanza fra Europa e Israele, fra cristiani ed ebrei, fra i quali «c'è il medesimo testo divenuto sangue, e questo sangue parola». Non si dimentichi che l'impegno di Millet è soprattutto letterario, in difesa della lingua per difendere la civiltà, come aveva argomentato nel precedente saggio Lingua fantasma tradotto nel 2014 sempre da Liberilibri.
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