mercoledì 28 novembre 2012
Con il collaudato artificio retorico del dialogo tra maestro e allievo, Franca Sinatti D'Amico ha scritto un libro curioso, pubblicato dal raffinatissimo editore Raffaelli, di Rimini: si intitola L'uomo di ogni futuro (pp. 134, euro 12) e ripercorre a grandi falcate la Regola di san Benedetto.Un contadino che ha perso moglie e figli nelle scorrerie dei Goti, si vede avvicinare da un monaco che lo invita a Montecassino. Benedetto (480-547), abate del monastero, gode fama di santità; pochi decenni dopo, san Gregorio Magno nei suoi Dialoghi (592) lo definirà «uomo di Dio», «uomo di vita venerabile, Benedetto di nome e di grazia».Il monaco con pazienza istruisce lo scoraggiato contadino analfabeta che, senza smettere di lavorare la terra, gradualmente viene iniziato alla Regola, prega con i monaci, condivide la loro quotidianità. Poi imparerà a leggere e, con qualche difficoltà, anche a scrivere; diventerà monaco e Benedetto, ormai in fin di vita, lo incaricherà di aprire un nuovo convento.Il primo gradino è l'obbedienza. La Regola, così minuziosa, dà sicurezza, ma non mortifica la libertà: anzi, la rafforza trattandosi di uno stile di vita abbracciato con una libertà da rinnovare giorno per giorno, perché l'obiettivo è «l'autoregola», cioè la consapevole identificazione nel percorso di santità. Anche la sobrietà, il digiuno, la mortificazione sono sfaccettature della libertà, perché conducono a padroneggiare il mondo attraverso il distacco.C'è anche la tentazione di lasciare tutto e di ritornare nel mondo. Il contadino: «Benedetto dice della nostra libertà, ma vissuta nel segno del Signore, nell'obbedienza. Ebbene, ascoltami perché ho paura di dirti che io ho sentito un desiderio profondo, intimo, di fuga: perché libero di pregare? Perché libero dentro una regola? Perché non andare via lontano e scegliere tutto quello che questo mondo anche sconquassato può ancora darmi? Perché qui? Perché sempre con lo sguardo rivolto in alto, mentre le cose terrene ci sfuggono e siamo sempre nella penitenza?». Risponde il monaco: «Vedi, questa è la nostra grande ricchezza, sei libero di andare, di scegliere la tua vita, di peregrinare fra le ricchezze del mondo, di essere caritatevole o egoista. Vai, vai, vai!». E ancora: «Tu adesso soffri per questo, perché guardando in alto, a volte, il fiato si mozza. Fermati e contempla tutto il creato che ci circonda, amalo come te stesso. Sorridi per le cose belle e sappi che la tentazione fa parte della nostra vita. Ricorda che per amore si può anche rinunciare a cose splendide e la rinuncia stessa diventerà bella». A dire il vero stupisce quanto scrive l'autrice sul rilievo che i 73 capitoli assegnano alla Grazia e all'Eucaristia: a volte sembra trattarsi di un esercizio ascetico di tipo stoico, e fra le righe fa capolino Marco Aurelio, sia pure in assiduo contatto con la Parola di Dio. Ma forse, in questo modo, la Regola può essere vissuta anche da uomini semplicemente umani, pre o post-cristiani.Certo, non tutte le consuetudini dei monaci sono generalizzabili. Per esempio, il loro uso di vendere i prodotti del convento a prezzi bassi danneggia chi deve sostenere i costi della manodopera e del capitale, ma in questo si vede il ruolo esemplare, simbolico, della vita religiosa, che è una vocazione specifica all'interno della chiamata universale alla santità.Il libro è anche ricco di aneddoti, come quello dell'incontro tra Benedetto e il re ostrogoto Totila le cui malefatte il santo non esitò a rinfacciare.
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