domenica 2 luglio 2006
Quando prego per qualcosa, non sto pregando. Quando prego per niente, quella è vera preghiera. È domenica e, dopo la Messa che ho celebrato, rimango un po' nella chiesa che si svuota. Restano solo, alla fine, due persone: una donna anziana che recita il rosario e un signore che sta su una panca a metà chiesa. Passa il tempo, la «Liturgia delle Ore» mi fa dimenticare la loro presenza per un po'. Quando rialzo gli occhi, vedo che è rimasto solo quell'uomo che continua immobile a fissare la croce e l'altare. Mi passa per la mente una frase, quella che sopra ho proposto: idealmente la vorrei applicare a quella persona, anche se non so che cosa passa per la sua mente (forse è là soltanto perché ha bisogno di quiete e pensa ad altro). La frase è di un grande (e un po' provocatorio e arduo) mistico medievale; Meister Eckhart, domenicano tedesco contemporaneo di Dante. La sua distinzione tra i due tipi di preghiera è, comunque, importante. Certo, è forse un po' radicale ed esclusiva: non bisogna disprezzare la madre angosciata che prega per la guarigione di un figlio, oppure la vecchietta o il giovane che accendono una candela e dicono una preghierina, l'una per la salute e l'altro per un esame. Dio sa capire e giudicare meglio di noi che crediamo di conoscere la «teologia», cioè il pensiero di Dio. Sta di fatto, però, che ha ragione Eckhart quando ci ricorda che la preghiera perfetta è la lode pura, il celebrare Dio senza nulla chiedere, l'esaltarlo solo perché egli esiste e si rivela con la sua parola e la sua gloria. Forse quell'uomo è là, davanti a Dio, tacendo e contemplandolo: egli «prega per niente», proprio come Giobbe che «credeva in Dio per nulla» (1, 9), cioè senza nulla esigere in cambio.
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