mercoledì 3 febbraio 2021
È stato interessante assistere agli Stati Generali sul lavoro della montagna dove, in qualità di moderatore, ho potuto interloquire fra gli altri con Mauro Corona, che ha disegnato un quadro inquietante della cosiddetta «montagna povera», che ha comunque i medesimi vincoli ambientali e paesaggistici della montagna ricca: per cui per fare una tettoia ci vogliono anni, dopo un peregrinare fra commissioni di vario genere. Si chiama burocrazia il male che mortifica la gente di montagna, che chiede solo di poter agire perché altrimenti un territorio si inselvatichisce. Eppure per abbattere un albero ci vuole la presenza delle guardie forestali, che magari sono sotto organico. E poi ci sono casi disperati, come chi ha ricevuto addirittura 16mila euro di multa per aver costruito una tettoia di riparo per la legna. O quel giovane, Felicino, che ha investito su 80 pecore, una stalla e un progetto per ragazzi con qualche disabilità: è partito con molto entusiasmo e coraggio, salvo poi vedersi revocati i contributi. E chi si occupa di lui se in fondo la montagna spopolata non porta voti ai politici? In assenza di idee – ha chiosato Corona – si mettono dei vincoli; ma tutto questo fa male e rimarca l'immagine di un Paese senza una visione. Da Varese la Coldiretti tuona contro la medesima burocrazia che non permette uno sviluppo ai giovani. Ed è un paradosso se pensiamo come aumenta a dismisura la disoccupazione, nonostante il blocco dei licenziamenti... Perché chi vuole costituire un'impresa agricola deve misurarsi col proprio spirito di sopportazione? Al contrario a Busto Arsizio il Comune ha deciso di affidare 50 ettari di terreni rimasti incolti, favorendo il ritorno dei giovani. È un segnale incoraggiante, anche se non basta perché poi l'iter burocratico è tale che si rischia che quegli stessi giovani beneficiari alla fine lascino perdere esasperati. Un altro caso: sulle montagne dell'Alta Val Borbera, a Dova, don Luciano Maggiolo ha creato una cooperativa agricola con allevamento, agriturismo e una festa in pieno agosto che ha favorito l'autofinanziamento del progetto. Ma anche don Luciano, 80 anni, ora deve desistere, dopo aver combattuto per 55 anni per evitare lo spopolamento: non c'è più la voglia di prendere il testimone e l'unica strada percorribile resta ola costituzione di un museo che renda viva almeno la memoria, mentre un'attività sui social ha fortunatamente destato qualche interesse per continuare a gestire l'azienda agrituristica. Sì, il quadro della montagna oggi è coperto da troppe ombre e la luce può venire soltanto da una politica che si piega al concetto di sussidiarietà, così da chiedere semplicemente a chi ha voglia di impegnarsi: «Di che cosa avete bisogno, voi giovani intrepidi che avete ancora un sogno?».
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