Politica alla prova Csm (e delle Camere riunite)
domenica 15 gennaio 2023
Martedì il Parlamento si riunirà in seduta comune per eleggere dieci membri del Consiglio superiore della magistratura. Sono quelli che nel linguaggio corrente vengono definiti laici per distinguerli dai venti togati eletti direttamente dai magistrati. L’appuntamento è in sé di primaria rilevanza istituzionale per la stessa natura dell’organo, di cui agli articoli 104 e 105 della Costituzione. Al Csm, infatti, spettano, “le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”, a tutela della loro autonomia e indipendenza. Non a caso a presiederlo di diritto è il Capo dello Stato. Ma nell’attuale circostanza si sommano a questo elemento di base altri fattori di particolare interesse. È la prima volta, infatti, che si riuniscono in seduta comune le due Camere a ranghi ridotti e il totale dei parlamentari sarà equivalente alle dimensioni della sola assemblea di Montecitorio prima del taglio numerico. Un motivo pratico in più per riflettere – nella prospettiva delle riforme di cui tanto si parla – sulla possibilità di incrementare i casi in cui il Parlamento delibera in questo formato unitario, magari per ovviare ad alcuni dei problemi connessi con il cosiddetto bicameralismo perfetto. Per esempio, visto che ormai sono anni che la legge di bilancio viene di fatto approvata da una sola Camera, con l’altra costretta a una mera ratifica, potrebbe essere ragionevole e più rispettoso affidare il compito direttamente al Parlamento in seduta comune. Un altro motivo di speciale interesse riguarda il comportamento dei gruppi parlamentari nei confronti della prima decisione squisitamente istituzionale della legislatura, fatta eccezione ovviamente delle nomine iniziali relative agli assetti delle Camere. La riforma Cartabia dello scorso giugno ha introdotto tra le altre novità la possibilità di presentare candidature libere. Sul sito della Camera compare un buon numero di auto-proposte di professori universitari in materie giuridiche e di avvocati con almeno quindici anni di esercizio – questi i requisiti che la Costituzione prevede per i membri laici del Csm – ma appare improbabile che qualcuno di essi possa essere eletto a scapito dei candidati indicati dai gruppi. I partiti sono comunque chiamati a dare prova di serietà e di senso di responsabilità scegliendo personalità adeguate ed evitando forzature. La richiesta di un quorum di tre quinti (dei membri nei primi due scrutini, dei votanti in quelli successivi) è funzionale alla ricerca di accordi oltre i limiti esclusivi della maggioranza. Quella che sostiene l’attuale governo avrebbe bisogno dell’apporto di almeno una componente dell’opposizione, ma al di là dei calcoli aritmetici sarebbe un bel segnale per il Paese se i gruppi trovassero già al primo giro un accordo rispettoso allo stesso tempo della rappresentanza parlamentare e del pluralismo delle forze in campo. Sia pure in termini diversi, un problema di equilibrio si riproporrà più avanti con l’elezione del vicepresidente, che ha un ruolo cruciale nel Csm e che secondo la Costituzione dev’essere scelto tra i membri di nomina parlamentare ma con il voto dell’intero Consiglio in cui i togati sono in maggioranza. Un doppio passaggio destinato a incidere non poco sul futuro di uno dei comparti più delicati e nel contempo più stressati della nostra democrazia. © riproduzione riservata
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