Piace anche a me l'idea che un dì saremo musica
mercoledì 8 luglio 2020
Papa Francesco da solo, in piazza San Pietro. Poi i carri militari che lasciano Bergamo carichi di feretri che, nei cimiteri, non ci stanno più. Infine un ragazzo con un cappellino da baseball e la sua chitarra elettrica che dal tetto di una casa si affaccia, al tramonto, su piazza Navona completamente deserta e interpreta in maniera struggente il tema musicale di "C'era una volta in America", composto dal maestro Ennio Morricone.
Ognuno di voi avrà i propri ricordi, le proprie immagini, i propri dolori, i propri suoni da utilizzare per tentare di mettere ordine e dare un senso a questi assurdi mesi di questo assurdo 2020, un anno che sembra voglia prenderci per sfinimento. Se io dovessi scegliere i "miei" tre momenti, quelli più intesi, quelli da groppo in gola e occhi lucidi, quelli da raccontare a chi non sa o non capisce, sceglierei questi tre. Papa Francesco e la forza di un uomo che offre tutto se stesso nel momento più difficile; quei camion e un dolore immenso, la solitudine straziante di quei corpi senza vita e quella dei loro cari, vivi ma privati della libertà più basilare, quella del commiato, una pena alla quale sembra di non poter resistere; infine la consolazione e la meraviglia di una delle piazze più belle del mondo che vibra al suono di una melodia splendida, malinconica, in qualche modo terapeutica. La forza, il dolore, la consolazione.
«Mi piace l'idea che un giorno saremo musica. Mi piacerebbe che ci trasformassimo tutti in dei suoni», aveva dichiarato Ennio Morricone a "Repubblica", qualche anno fa. Una bella idea di Paradiso, di cui lui è stato capace di regalarci un'anteprima, segnando con la sua musica, le nostre vite. Letteralmente, come se le sue composizioni ne fossero un segnalibro. Tante volte, in questa rubrica, ho cercato di intrecciare i due linguaggi che ritengo più universali e sempre, ne sono certo, ho fatto riferimento alla musica e allo sport, entrambi capaci di portare il proprio messaggio in ogni angolo del mondo, di emozionare qualsiasi essere umano, indipendentemente dal suo quoziente intellettivo, colore della pelle, credo religioso o conto in banca.
Ennio Morricone amava lo sport, tanto. La passione per il calcio lo aveva portato a comporre l'inno dei Mondiali del 1978, nonostante fosse dichiaratamente avversario della dittatura del generale Videla e della strumentalizzazione di quell'evento sportivo. Era innamorato della sua Roma, squadra «capace di avere un carattere internazionale, ma che è sentimentalmente chiusa nei propri rioni. Una squadra aperta alla gente, al popolo, comunque capace di essere globale». Perché sport e musica saltano ogni intermediario, arrivano direttamente al cuore, alla pancia, alla pelle.
Il maestro Morricone si è impadronito del mio cuore, della mia pancia, della mia pelle per la prima volta quando ascoltai le sue note accompagnare la risalita delle cascate di Rodrigo Mendez, interpretato da Robert De Niro, portando sulle spalle la sua armatura in un sacco, nel film Mission. Era la fine del 1986, stavo per compiere diciotto anni e mi emozionava la forza di quell'uomo che risaliva le cascate da solo; il suo dolore immenso da riscattare; la consolazione del perdono. E in sottofondo le note di Ennio Morricone. Quello che avrei ritrovato trentaquattro anni dopo era già tutto lì, la sua musica anche.
Ecco perché la scomparsa di questo genio puro ci ha, per l'ennesima volta quest'anno, travolti. Perché certamente lui non se ne è andato: è ancora qui, con la sua musica, e ci resterà finché esisterà un uomo con le orecchie.
Se ne è andato, invece, un altro bel pezzo di noi.
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