mercoledì 1 marzo 2006
Avrai gustato tutte le gioie del mondo per tutta la vita. Avrai goduto la serenità con la tua amata per la vita. Ma al termine della vita ti toccherà partire e tutto non sarà stato che un sogno, durato per tutta la vita. Apriamo la nostra Quaresima con questa riflessione di uno scrittore mistico musulmano, Said Abu 'l-Khair (967-1049). È il segno di quel tratto spirituale che accomuna tutte le esperienze religiose quando si confrontano con le verità ultime della vita e della morte, del bene e del male, degli autentici valori morali. L'aggrapparsi al godere, al potere, all'avere è sottilmente una forma di esorcismo nei confronti della paura della morte. Essa, però, appare alla fine e infrange quell'illusione. «Nessuno può riscattare se stesso - dichiara il Salmista - o dare a Dio il suo prezzo. Per quanto alto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare per vivere senza fine e non vedere la tomba» (49, 8-10). Tuttavia vorremmo fissare l'attenzione su un altro aspetto della confessione del mistico musulmano. Egli compara la vita a un sogno come faranno tanti altri autori: pensiamo solo al celebre dramma secentesco La vita è sogno di Calderòn de la Barca o alla vita come «sogno dentro un sogno» di Edgar Allan Poe. È, questo, un modo poetico o ascetico per esaltare il destino trascendente dell'esistenza umana e la vanità delle realtà terrene, finite e caduche. Ma il cristianesimo con l'Incarnazione celebra la storia come sede della presenza divina: la Parola eterna si fa parole umane, si fa "carne" in Gesù di Nazaret. La vita stessa, allora, non è più larva o sogno, ma diventa tempo e spazio per un impegno, luogo per far fiorire la futura pienezza di vita. Allora, come diceva il poeta García Lorca, «la vita non è sogno, è alerta (sveglia)».
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