Avrai gustato tutte le gioie del mondo per tutta la vita. Avrai goduto la serenità con la tua amata per la vita. Ma al termine della vita ti toccherà partire e tutto non sarà stato che un sogno, durato per tutta la vita.
Apriamo la nostra Quaresima con questa riflessione di uno scrittore mistico musulmano, Said Abu 'l-Khair (967-1049). È il segno di quel tratto spirituale che accomuna tutte le esperienze religiose quando si confrontano con le verità ultime della vita e della morte, del bene e del male, degli autentici valori morali. L'aggrapparsi al godere, al potere, all'avere è sottilmente una forma di esorcismo nei confronti della paura della morte. Essa, però, appare alla fine e infrange quell'illusione. «Nessuno può riscattare se stesso - dichiara il Salmista - o dare a Dio il suo prezzo. Per quanto alto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare per vivere senza fine e non vedere la tomba» (49, 8-10).
Tuttavia vorremmo fissare l'attenzione su un altro aspetto della confessione del mistico musulmano. Egli compara la vita a un sogno come faranno tanti altri autori: pensiamo solo al celebre dramma secentesco La vita è sogno di Calderòn de la Barca o alla vita come «sogno dentro un sogno» di Edgar Allan Poe. È, questo, un modo poetico o ascetico per esaltare il destino trascendente dell'esistenza umana e la vanità delle realtà terrene, finite e caduche. Ma il cristianesimo con l'Incarnazione celebra la storia come sede della presenza divina: la Parola eterna si fa parole umane, si fa "carne" in Gesù di Nazaret. La vita stessa, allora, non è più larva o sogno, ma diventa tempo e spazio per un impegno, luogo per far fiorire la futura pienezza di vita. Allora, come diceva il poeta García Lorca, «la vita non è sogno, è alerta (sveglia)».
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