«Per la pace esporre le bandiere» Proviamo vie nuove contro le armi
martedì 14 novembre 2023

Caro Avvenire,
tante le manifestazioni di questi ultimi giorni per la pace. Papa Francesco nella Laudate Deum, scrive che i conflitti nel mondo sono 55. Le manifestazioni, spesso, vengono citate solo per alcuni giorni. Poi, il silenzio. Allora perché non pensare a segni visibili e continuativi, esponendo la bandiera della pace?


Elvio Beraldin


Caro Beraldin, grazie per la sua sollecitazione. Se è un nostro lettore, ricorderà che nel 2022, dopo l’invasione dell’Ucraina voluta da Putin, “Avvenire”, su impulso di Marco Tarquinio, pubblicò (forse unico quotidiano al mondo) una lunga serie di articoli che raccontavano l’origine e la situazione di ciascuno dei 55 conflitti citati da Papa Francesco. Di molti, certo, fatichiamo a capire logiche e seguire gli sviluppi, non significa però che non ci possano stare a cuore ugualmente. Domandiamoci dunque come fare a incidere con la nostra azione personale per favorire la causa della pace. Non sembri cinico dire che un vessillo sul balcone è un buon pensiero, che in molti casi non sposta molto.

Nelle democrazie, invece, la mobilitazione attiva dei cittadini, spesso ma non sempre, può cambiare le cose. Pensiamo alla guerra del Vietnam: in America, negli anni Sessanta e Settanta, le proteste di piazza, la renitenza alla leva dei giovani, i racconti dei media oltre le versioni ufficiali, l’impegno militante di intellettuali e artisti contribuirono infine a convincere la Casa Bianca a interrompere l’azione armata (sebbene la principale motivazione fosse l’impossibilità di ottenere un successo militare). D’altra parte, le manifestazioni oceaniche di Londra nel 2003 (forse le più grandi nella storia britannica) non fermarono la decisione (rivelatasi poi sciagurata) presa da Tony Blair di intervenire in Iraq al fianco degli Usa per rovesciare Saddam Hussein. La coraggiosa (al prezzo della vita) opposizione di tanti anonimi abitanti e di qualche personalità russa non sta purtroppo scalfendo la determinazione del Cremlino di schiacciare la resistenza di Kiev.

Quando poi non siamo elettori dei governi coinvolti negli scontri, ottenere risultati diventa più difficile. Ancora una volta, il realismo della storia non deve soffocare l’impegno o silenziare la profezia di chi sfida una cultura diffusa di violenza. Mi viene da suggerire che stare vicino alle vittime è un modo per costruire in contrapposizione a chi vuole distruggere. Oggi, in ognuno degli scenari bellici, c’è qualche organizzazione umanitaria attiva sul terreno, spesso la stessa Caritas. Sosteniamo concretamente con donazioni l’aiuto a chi soffre. Spesso, nel centro di Milano, vedo - e su questo mi interrogo - tanti partecipanti alla Messa domenicale limitarsi a infilare una moneta nel cesto delle offerte. Tutti possiamo fare molto di più. Per cominciare, anche lei, caro Beraldin, aggiunga il suo messaggio all’iniziativa #vocidipace, sempre in evidenza sul nostro sito.


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