Pensare per immagini, la "visibilità" di Calvino
lunedì 9 novembre 2020

Una foto vale più di mille parole? Dipende. Dipende dall'immagine. E dalle parole. E se le parole nascessero da una fotografia? In una delle Lezioni americane, Italo Calvino si sofferma proprio sul rapporto fra storie e immagini. «Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare – annota lo scrittore ligure - è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall'allineamento di caratteri alfabetici neri su pagina bianca, di pensare per immagini».

Italo Calvino (1923-1985) allo specchio, ritratto d'archivio

Italo Calvino (1923-1985) allo specchio, ritratto d'archivio - Foto Contrasto

Calvino ama la fotografia. Ne è affascinato. Lui come tanti altri grandi letterati e scrittori che la fotografia l'hanno persino praticata. Pensiamo al verista siciliano Luigi Capuana o al papà di Alice nel Paese delle meraviglie Lewis Carroll. A loro Contrasto dedica un bel volume che si muove su questo confine, Un tempo, un luogo. Racconti di fotografia (pagine 192, euro 22,00). Ci sono anche Raymond Carver, Arthur Conan Doyle, Julio Cortázar, Daphne Du Maurier, Antonio Tabucchi, Michel Tournier, Eudora Welty e Virginia Woolf. Una antologia a cura di Alessandra Mauro che parte proprio da Calvino. Come se fosse lui a tenere il filo del racconto. D'altra parte «proprio la capacità di pensare per immagini – evidenzia Mauro – rappresenta uno degli affascinanti percorsi lungo cui Calvino ci conduce ricordando in questa lezione quando, ancora prima di imparare a scrivere, le strisce comiche del Corriere dei Piccoli diventavano per lui sequenze visive autosufficienti in grado di costruire il filo di un racconto da capire, da decifrare. Da inventare».

Nel 1955 Calvino pubblicava sul settimanale Il contemporaneo il saggio La follia del mirino, che anni dopo diventerà un racconto della raccolta Gli amori difficili con il titolo L'avventura di un fotografo. Il protagonista è il non-fotografo Antonino Paraggi, impiegato con la passione di «commentare con gli amici gli avvenimenti piccoli e grandi sdipanando il filo delle ragioni generali dai garbugli particolari», a cui sfuggiva in particolare «l'essenza dell'uomo fotografico», di tutti quei cittadini che «a centinaia di migliaia escono la domenica con l'astuccio a tracolla. E si fotografano» e fotografano di tutto e «passano i giorni aspettando con dolce ansia di vedere le foto sviluppate»; di quei genitori che «dopo aver messo al mondo un figlio» pensano subito a fotografarlo, e lo fotografano spesso «perché nulla è più labile e irricordabile d'un infante di sei mesi, presto cancellato e sostituito da quello di otto mesi e poi d'un anno», senza contare che «la perfezione che agli occhi dei genitori può aver raggiunto un figlio di tre anni non basta a impedire che subentri a distruggerla la nuova perfezione dei quattro, solo restando l’album fotografico come luogo dove tutte queste fugaci perfezioni si salvino e si giustappongano, ciascuna aspirando a una propria incomparabile assolutezza».

La copertina del libro 'Un tempo, un luogo'

La copertina del libro "Un tempo, un luogo" - Contrasto

Ma da spietato critico della smania fotografica, Antonino si farà poi conquistare dalla scatola nera, e ne diventerà a sua volta e a suo modo fanatico: «Per chi vuole recuperare tutto ciò che passa sotto i suoi occhi, l'unico modo d'agire con coerenza è di scattare almeno una foto al minuto, da quando apre gli occhi al mattino a quando va a dormire. Solo così i rotoli di pellicola impressionata costituiranno un fedele diario delle nostre giornate, senza che nulla resti escluso». La fotografia, lo scatto, l’immagine come ossessione. Profetico potremmo dire guardando il nostro mondo social e la bulimia, se non la «furia» (direbbe Joan Fontcuberta) delle immagini che lo caratterizza. Un mondo travolto da miliardi di scatti ostentati e condivisi erga omnes, al punto che mille immagini non riescono spesso a fare una parola e alla fine lo specchio (fotografico) – per citare un illuminante saggio di Ferdinando Scianna – si scopre «vuoto».

Provando a vivere i luoghi del digitale con tempi analogici, a pensare per immagini (ma senza esagerare, con le immagini ovviamente) cominciamo questa “avventura” settimanale e sentimentale nella fotografia in tutte le sue forme: un libro, una mostra, un viaggio, un ricordo, un divertissement. Fra realtà e immaginazione. Una foto e non più di mille parole (in questo caso 679).

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