martedì 13 aprile 2004
Pasqua: "benintesi" e "malintesi". Già segnalato, "Repubblica" di sabato, bel "Dossier" sulla preghiera. Stesso giorno, "Europa", ottimo dialogo tra Gad Lerner ed Enzo Bianchi: "Pasqua. Perché non c'è solo la Passione". Ambedue segnalano i limiti del film di Gibson, e Bianchi fa capire che centro di tutto, nella fede cristiana, non è il dolore, ma l'amore e la certezza - donata - della Resurrezione. Bello ancora, su "Europa", un pezzo di Giovanni Bianchi sulla "poesia" di padre David Turoldo. Più intimo, sempre "Europa", quasi privato, "La notte della Parasceve": Pio Cerocchi ricorda la morte serena di suo padre nella luce di un giorno eterno che sempre ci attende. Ancora domenica, un po' sacrificato in estensione, ma essenziale, Gianfranco Ravasi sul "Sole 24Ore" - "Il Dio della libertà" - racconta il passaggio dalle feste primitive alla Pasqua ebraica e a quella cristiana. Sono i "benintesi". Un malinteso, invece, nel pezzo di Michele Serra domenica, sempre "Repubblica", che si riferisce al testo di Seneca citato il giorno prima in risposta al lettore che scriveva di avere pochi mesi di vita: "ringrazio il vecchio laico Augias" Con Seneca sul comodino, l'ultimo letto di un miscredente avrà la stessa dignità dell'ultimo letto di un cardinale". Che dire? La fede cristiana è perfettamente d'accordo. Tutti gli uomini - credenti o no - sono figli di Dio, e la loro dignità viene da sincerità di vita e pratica della giustizia. Novità? È S. Paolo ai Romani (2,16). E il Vaticano II lo riafferma solenne nella Lumen Gentium. È così: un "miscredente" sincero e in buona fede vale più di un cardinale incoerente.
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