giovedì 19 aprile 2018
«Mi sento straniero dovunque io sia: una presenza passata / dove l'inutile fingeva di essere». Sono i versi scritti dall'unico vero Poeta che il nostro calcio abbia generato in oltre cento anni di storia di cuoio. Il suo nome è Ezio Vendrame, una figurina cara ai collezionisti anni '70, sconosciuto ai più, forse per via del suo "Farabutto esistere". Ezio è nato a Casarsa della Delizia settant'anni fa e la prima volta che l'ho incontrato mi diede appuntamento al cimitero del paese, davanti alla tomba di Pier Paolo Pasolini. «Qui, non hanno capito Pasolini, potevano capire uno come me?», mi disse con quello sguardo malinconico, prigioniero di un'anima ribelle, come l'altro pasoliniano, Pierluigi Cappello. Nella sua casetta di legno (da ex terremotato del Friuli) a Tricesimo l'ultimo ricordo del grande poeta Cappello è di un pomeriggio in cui ci leggeva "Mandate a dire all'Imperatore": «Così come oggi tanti anni fa / mandate a dire all'imperatore / che tutti i pozzi si sono seccati / e brilla il sasso lasciato dall'acqua / orientate le vostre prore dentro l'arsura / perché qui c'è da camminare nel buio della parola». Avrei tanto voluto che Ezio incontrasse Pierluigi che è volato via da poco, assieme all'altro folle pasoliniano, Federico Tavan. Il Poeta di Andreis, il dolce Federico, che per il suo Maestro ha lasciato scritto: «Tu ci hai spiegato la storia dei muri alti del palazzo / catene che tu volevi rompere che diventano come fragole nei prati».
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