sabato 3 luglio 2010
Li chiamano ancora i bosniaci. Sono invece un gruppo di famiglie trentine che hanno costituito un Circolo Trentino Pontino nei pressi di Pomezia. L'imperatore d'Austria, Francesco Giuseppe, li aveva mandati a coltivare le terre della Bosnia. Emigrare era una parola comune allora, quando la povertà era diventata fame in quella Valsugana, ora fiorente, attraversata dalla Brenta e facile agli acquitrini e alle alluvioni. Una delle più devastanti, alla fine dell'Ottocento, persuase parte della popolazione a chiedere al governo asburgico altre terre che facevano parte dell'impero. Partire allora significava non tornare più indietro, perdere parenti e amici, portando con sé i ricordi e nel cuore le fotografie del proprio paese, il colore delle montagne, la curva delle strade, il suono delle campane della chiesa. Non è difficile immaginare il dolore del distacco da tutto questo, dolore che solo la speranza di andare a vivere meglio poteva attutire. Uomini, donne, bambini, valigie di fibra, sacchi da montagna racchiudevano ciò che era stata fino ad allora la vita. Quando finalmente, dopo un viaggio avventuroso, i profughi arrivarono sul posto loro dato in dotazione, vi trovarono solo boschi e per prima cosa fu necessario tagliare le piante per costruirsi case di legno. Erano contadini coraggiosi e pieni di volontà, ma anche in queste nuove terre la povertà li aveva seguiti e furono costretti a chiedere aiuti ai comuni d'origine. Passarono gli anni, i coloni ararono i campi e costruirono una chiesa mentre attorno a loro il mondo cambiava bandiere, capi di Stato, governi. Una guerra era passata accanto alle loro strade e finalmente nel 1940, riconosciuti ancora cittadini italiani, vennero mandati dal governo di Mussolini nei campi di Latina appena recuperati con la bonifica dell'agro pontino. Di nuovo emigranti, ma più forti, più numerosi. I figli erano diventati padri e portarono con sé i nonni come i bambini nati in Bosnia, poi ripresero in mano la vanga e la zappa, felici di aver trovato le case già pronte. E di nuovo passano gli eserciti: tedeschi, americani, inglesi. Cambia la bandiera cambia il governo. Loro parlano ancora trentino, quello che hanno imparato dalla famiglia e che ha sempre fatto parte della loro vita, che li ha tenuti assieme, ha conservato per loro il senso della patria italiana. Oggi a Pomezia, ospiti di una bellissima università con campo da calcio, campo da tennis, piscina e locali anche per ospiti, i trentini bosniaci hanno allestito una mostra di vecchie foto raccolte fra tutte le famiglie. I giovanissimi cercano i loro antenati, le bisnonne con le gonne lunghe, i nonni con il gilè e il cappello. Si ride, si alza il bicchiere, si ricorda. Si parla trentino.
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