sabato 1 maggio 2004
Lavorando per le masse, l'industria moderna distrugge le opere dell'arte antica che sia per l'artista sia per il consumatore avevano carattere personale. Adesso non ci sono più opere, ci sono prodotti. Si legge sempre con gusto Honoré de Balzac, il grande scrittore francese dell'Ottocento. Ho
tra le mani La commedia umana, raccolta di diversi romanzi che è disponibile nella traduzione italiana dei "Meridiani" di Mondadori. Proprio in apertura a uno di questi testi, quello intitolato Béatrix (1839 e 1844-45), trovo l'osservazione precedente sul lavoro nell'epoca moderna. Devo confessare che rimango spesso incantato di fronte all'opera degli artigiani, al loro amoroso e delicato agire con le mani per trasformare la materia grezza in un progetto. Forse a questa ammirazione contribuisce la mia inettitudine manuale. La distinzione che Balzac suggerisce è significativa anche (e forse soprattutto) nei nostri giorni tecnologici. La "produzione", infatti, è frenetica e l'automazione la rende apparentemente perfetta. Ma proprio per questo scompaiono le "opere", ossia il gusto del lavoro, della creatività, dell'originalità. Il lavoro perde il suo aspetto di intelligenza e persino di genialità, non lo si compie più con passione, ma in maniera meccanica e in una noiosa sequenza di gesti obbligati. Non c'è più la persona al centro ma la macchina: chi non ricorda il film Tempi moderni con Charlot costretto a trasformarsi lui stesso in macchina dai movimenti reiterativi e obbligati? E', allora, necessario ritrovare la dignità del lavoro, la passione nel creare "opere" e non solo "prodotti", riservando uno spazio alla creatività almeno nel tempo libero.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: