giovedì 8 gennaio 2009
Battesimo del Signore
Anno B

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Gesù è il figlio che si fa fratello, che si immerge solidale non tanto nel Giordano, quanto nel fiume dell'umanità, che sempre scorre a rischio sul confine tra deserto e terra promessa, tra fallimento e fecondità della vita. Lo fa perché ogni fratello possa diventare figlio. Il cuore del Vangelo di Marco è in questa parola: «Tu sei mio figlio amato». La lieta notizia è una calda voce di padre che ti chiama figlio. Sostanza di ogni battesimo: ognuno è il figlio prediletto di Dio. Dio preferisce ciascuno.
Uscendo dall'acqua vide i cieli aprirsi. Il mondo nuovo si presenta come una apertura del cielo: il cielo si apre, vita ne entra, vita ne esce. Si apre e accoglie, come quando si aprono le braccia agli amici, ai figli, ai poveri, all'amato. Il cielo si apre, sotto l'urgenza dell'amore di Dio, l'impazienza di Adamo, l'assedio dei poveri, e nessuno lo richiuderà più. Si apre e dona. Su ogni figlio scende una colomba simbolo dello Spirito, respiro di Dio.
Questa immagine del cielo aperto continua a indicare la nostra vocazione: alzare gli occhi su pensieri altri, su vie alte che sovrastano le nostre vie; sentire che nella nostra vita sono in gioco forze più grandi di noi; che dipendiamo da energie che vengono da altrove, da una fonte fedele e che non viene meno, che alimenta la nostra vita; che non abbiamo in noi la sorgente di ciò che siamo. Con questa fede possiamo anche noi aprire spazi di cielo sereno, da cui si affacci la giustizia per la nostra terra, dono che diventa conquista. Possiamo aprire speranza, abitare la terra con quella parte di cielo che la compone.
Allora ti prende come una nostalgia, un desiderio di fare qualcosa che assomigli a ciò che è detto di Gesù: «Passò facendo del bene, guarendo la vita da ogni sorta di male» (At 10); sintesi ultima, essenziale, struggente e bellissima della vicenda di Gesù, ma anche di ognuna delle nostre vite. Passare facendo del bene è il senso del nostro pellegrinaggio sulla terra. Passare fra le cose e le persone senza prendere, solamente amando, donando, perdonando, accendendo, aprendo spazi di cielo sereno.
Lo farò ricordando che «Dio non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta» (Is 42) che a Lui basta un po' di fumo, lo lavora, lo circonda di cure e di speranza, «gli alita sopra» (cf Gn 2, 7) fino a che ne sgorghi di nuovo la fiamma. L'uomo non è mai finito per sempre.
Ricordando il Dio dell'umile presagio di fuoco, Dio della nostra fragilità, Signore della debole fiamma e della grande speranza!
(Letture: Isaia 55,1-11; da Isaia 12; 1 Giovanni 5,1-9; Marco 1,7-11).
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