domenica 20 febbraio 2005
La S. Scrittura è come il mondo: indecifrabile nella sua pienezza e nella molteplicità dei suoi significati. Foresta fonda, dalle innumerevoli diramazioni: più ci si addentra e più si scopre l"impossibilità di esplorarne il fondo. Tavola imbandita dalla Sapienza, cielo profondo, abisso insondabile. Mare immenso nel quale si naviga a gonfie vele, senza mai arrivare. Oceano di mistero.È questo l"avvio solenne di uno dei capitoli iniziali dell"opera Esegesi spirituale di uno dei maggiori teologi del secolo scorso, il francese Henri de Lubac (1896-1991), creato cardinale nel 1983 da Giovanni Paolo II. Egli, in questo paragrafo, raccoglie una serie di definizioni simboliche della Bibbia escogitate dai Padri della Chiesa per descriverne l"infinita ricchezza, la profondità  e il mistero. Ho voluto riproporre queste parole in una domenica di quaresima proprio per spingere almeno un lettore a ritagliarsi uno spazio silenzioso, a far scivolare dallo scaffale la Bibbia e a iniziarne la lettura di una pagina.Ho passato buona parte della mia vita a convincere le persone più diverse a fare questa esperienza di fede e di cultura. Non è un atto semplice quello dell"incontro con la Bibbia perché essa, come il Verbo, è anche "carne", ossia storia, spazio, tempo, lingua e linguaggi. Si deve, perciò, "assediare" il testo, persino combattere con esso, come suggerivano certi scrittori medievali. Quel libro, una volta "mangiato",  secondo l"immagine di Ezechiele e dell"Apocalisse, è amaro e dolce al tempo stesso: è sorgente di tensione, di pentimento e timore ed è fonte di gioia, di pace, di speranza. Perché, come scriveva Pascal, «la Bibbia ha passi adatti a inquietare ogni nostra situazione e passi adatti a consolare ogni nostra situazione».
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