Non tramontano le 3 rivoluzioni creative del Profeta del gol
mercoledì 29 marzo 2017
Il destino degli essere umani geniali è quello di cambiare il modo di vedere le cose, capovolgere un paradigma, aprire una finestra sul futuro. Se questo tipo di genialità può manifestarti nella pittura, nella letteratura o nella musica, la stessa cosa può accadere nello sport. Il gesto è sempre lo stesso: non accontentarsi delle proprie qualità tecniche, ma saper andare a spasso in un posto dove nessuno è ancora stato. Johan Cruijff l'ha fatto almeno tre volte: la prima da atleta, la seconda da allenatore, la terza grazie alla sua Cruijff Foundation.
L'atleta vinse tre Palloni d'Oro, ma questo è un fatto accessorio. Conta di più quel suo aver reinventato il gioco del football, partendo da due ossessioni: la perfezione tecnica e il calcio totale, ovvero un modo di giocare dove gli atleti devono dimenticarsi del proprio ruolo e muoversi nello spazio proprio come gli Olandesi hanno fatto con le loro terre strappate al mare, conquistandone un centimetro dopo l'altro.
La seconda rivoluzione fu quella del Cruijff allenatore. Ripercorrendo le tappe della sua carriera di atleta, esordì all'Ajax e venne consacrato dal Barcellona. Anche in questo caso ricordare tutte le cose vinte non ha senso, riassume meglio il tweet con cui il club catalano lo ha salutato venerdì scorso, un anno dopo la sua scomparsa: «Abbiamo imparato a sognare con te. Grazie, Johan».
La terza rivoluzione, invece, è ancora in corso. Si chiama Cruijff Foundation e si occupa di tanti progetti che coinvolgono migliaia di ragazzi nel mondo, con un'attenzione particolare al rapporto tra sport e bimbi disabili. Uno di questi progetti (non a caso nato nel cervello del più grande calciatore-architetto della storia) si chiama Cruijff Courts: oltre 200 campi da calcio in sintetico aperti in tutto il mondo. Dal Messico al Giappone, dal Marocco al Sudafrica passando per il Brasile, Cruijff ha inventato una specie di "bolla" dedicata allo sport, installata nei più diversi e complicati paesaggi urbani del mondo. Un modo di restituire un dono immenso e, dopo averlo fatto sia da calciatore che da allenatore, un modo di conquistare lo spazio fisico e destinarlo allo sport.
La Fondazione si ispira a quattordici regole, delle quali la prima è: «Per fare le cose, dovete farle assieme». La quattordicesima, che non a caso porta proprio il suo amatissimo numero di maglia, recita: «La creatività è la bellezza dello sport». Già, così la pensava Johann Cruijff, un marziano con i capelli lunghi e la "faccia da Beatles", uno a cui il Camp Nou di Barcellona presto dedicherà una statua e per cui all'Amsterdam Arena, proprio dove ieri ha giocato la nazionale italiana, troneggiano due foto. La prima, enorme, ritrae i suoi piedi che accarezzano un pallone. Un po' come esporre le mani di Van Gogh nel suo museo. L'altra, incredibile, lo ritrae su un'auto scoperta, durante la parata di celebrazione della Coppa dei Campioni del 1972, vinta nella finale di Rotterdam contro l'Inter, proprio grazie a una sua doppietta. Il Profeta del gol, come lo battezzò Sandro Ciotti, è in mezzo a una folla immensa e adorante. Tiene fra le mani la Coppa e fra le dita una sigaretta. C'è tutto Cruijff in quella foto. Tutto ciò che lo ha fatto vivere, tutto ciò che lo ha fatto morire.
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