giovedì 3 dicembre 2020
Il Natale non viene solo a darci delle conferme: serve piuttosto a proiettarci in avanti, a inquietare, a convertire, a riconfigurare. Un grande teologo come Dietrich Bonhoeffer affermava che Dio ci viene incontro non solo come un “tu” ma anche come un “ciò”. Il “ciò” che egli farà per il mondo e per gli altri; un “ciò” in grado di mobilitare la speranza; un “ciò” che sia capace di rompere con il nostro sonnolento conformismo e ci ricollochi a sentinelle di una vita che deve avere un significato. Perché il Natale non viene per imprigionarci nel labirinto delle frasi fatte, nell'assillante cantilena dei simboli o nei passi perduti dei centri commerciali. Non viene a ingabbiarci in quella preoccupazione a orologeria che ci induce all'artificiale frenesia di celebrare presenze che, in fin dei conti, non è in questo modo che si possono onorare. Il Natale ci sfida, questo sì, a osare e ad agire differentemente. Il consumismo non fa che risucchiarci e consumarci. Il dono deve essere più di un commercio meccanico o di una fregola in cui noi stessi crediamo poco. L'importante è la costruzione che ognuno di noi è chiamato a fare, nel riconoscimento che Dio ci viene incontro celato nelle sfide del qui e ora. E che noi, così come siamo, poveri e incompiuti ma anche inquieti e vivi, scopriamo una possibilità di dono e di reincontro, di fiducia reimparata, di un'attesa che sia di più di un semplice aspettare.
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