sabato 4 novembre 2006
Noi siamo ciò che facciamo di ciò che gli altri hanno fatto di noi. Con questo gioco di parole il filosofo Paul Sartre (1905-1980) ci introduceva in un tema dai molteplici riflessi. Anzi, la sua frase ci può condurre anche là dove egli non intendeva inoltrarsi. Infatti, per il credente tra quelli «altri» che operano su di noi plasmandoci c'è innanzitutto l'Altro per eccellenza, il Creatore, il quale non solo è alla radice del nostro inizio assoluto ma è anche costantemente accanto alla sua creatura, conservandola nell'essere. Dobbiamo, poi, riconoscere che ci sono gli «altri», ossia il nostro prossimo, a partire da chi ci genera e ci imprime alcune caratteristiche, per giungere a chi ci amerà e anche a chi avrà con noi un rapporto di tensione. Incontri e scontri riescono, nella vita, a modellare il nostro profilo interiore nel bene e nel male. Ma a questo punto scatta la considerazione fondamentale che il filosofo francese vuole proporre, evocando la nostra libertà e autonomia. Sì, noi abbiamo la possibilità di costruire una nostra identità attraverso l'esercizio, la consapevolezza, l'impegno morale. L'educazione non è solo quella che ci viene impartita in famiglia o nella scuola, ma è anche la formazione personale, la coscienza delle proprie possibilità, la lotta ai limiti e ai vizi. È, questo, un aspetto spesso disatteso anche perché non si sa più cosa significhi l'antica «ascesi» che altro non era se non l'esercizio personale di perfezionamento. Certo, ci possiamo anche costruire malamente, ma guai a non prendere mai tra le mani la propria vita, lasciandoci trascinare solo dalla deriva.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: