mercoledì 1 giugno 2011
Non abbiamo ancora capito se siamo noi a guidare i pensieri o i pensieri a guidare noi. Questa frase è la dimostrazione che il pensiero è in grado di pensare se stesso». Questo allineamento di parole è un saggio della "filosofia" di Eugenio Scalfari, nel nuovo libro che nel titolo avvilisce un verso di Saffo: Scuote l'anima mia Eros (Einaudi, pp. 132, euro 17). Provate a rileggere le prime righe. L'alternativa è falsa. Infatti siamo noi a formulare i pensieri, e da essi possiamo far dipendere le nostre decisioni (farci guidare), ma siamo sempre noi a pensare e a decidere: i pensieri non pensano, perché non esistono al di fuori di un soggetto pensante. E questa, per Scalfari, sarebbe la «dimostrazione» (proprio così: una «dimostrazione» che comincia con «non abbiamo capito») «che il pensiero è in grado di pensare se stesso». Sofisma, chiacchiera, sciocchezza che i ringraziati dall'autore per aver letto e approvato le bozze (Alberto Asor Rosa, Rosaria Carpinelli, Angelo Cannatà, Renata Colorni, Paola Gallo, Maria Ida Cartoni, Valentina De Salvo) non hanno fatto notare (complicità, timore reverenziale, perfidia?). I brevi capitoli del breve libro (parecchie pagine bianche) spaziano dalla mitologia a Freud, a Beethoven, a Chopin, a Dostoevskij, a Shakespeare, suggendo uno spunto qua, una frasetta là, aggiungendo di proprio soltanto l'incapacità di approfondire (non si pretende di esaurire), almeno un argomento. Il tutto in un'aura liricheggiante e saccente, di chi tutto ha visto e vissuto. Anche questa volta Scalfari fa sapere di avere avuto Italo Calvino come compagno nel liceo Cassini di Sanremo, nel 1938, ma non si nota che fra i due ci sia stata osmosi intellettuale. E neppure dai tre colloqui con il cardinal Martini sembra che l'autore abbia tratto profitto. Nel capitolo «Il triangolo sentimentale», Scalfari lamenta che la letteratura occidentale, che ha dato grande spazio all'adulterio, poco ne abbia riservato alla bigamia. Ci ha provato lui stesso col romanzo La ruga sulla fronte (2001), di cui trascrive alcune pagine (per rimpolpare lo smilzo libretto, Scalfari trascrive anche ampi brani dell'Oleandro in cui D'Annunzio descrive la metamorfosi di Dafne, e conclude con vaste citazioni di un García Lorca maltradotto). Che si tratti di bigamia autobiografica è rivelato dall'intervista che il fondatore di Repubblica ha rilasciato al settimanale di casa, L'Espresso, il 6 maggio scorso: «Ho sempre avuto due amori paralleli. Uno per mia moglie, l'altro per quella che per 43 anni è stata la mia compagna e che poi ho sposato. L'amore per mia moglie non ha subito la minima alterazione da questo rapporto. Erano due parallele. Nessuna delle due era subordinata all'altra. Sapevano l'una dell'altra. Nei primi anni, tentarono ambedue di abolire uno degli angoli di questo triangolo. E ci provai anch'io. Provavo a stare con una sola delle mie due donne. Ma era come se tentassi di tagliarmi una gamba, un braccio e metà cervello. E così in piena coscienza ho vissuto la fatica della bigamia. Sapendo la fatica, ben maggiore, che si sono assunte le mie compagne». Alcuni giornali hanno starnazzato per questo outing. Ma non è una novità. Perfino dal profilo di Eugenio Scalfari su Wikipedia si può sapere che nel 1950 egli sposò Simonetta De Benedetti (figlia di Giulio De Benedetti, grande direttore della Stampa dal 1948 al 1968), morta nel 2006. Dagli anni '70 " informa ancora Wikipedia " Scalfari ebbe una relazione con Serena Rossetti, segretaria di redazione prima dell'Espresso e poi di Repubblica. Nessuna rivelazione, nessuno scoop, insomma: solo un'appendice di tristezza.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI