martedì 2 novembre 2021

Siamo nei giorni che più richiamano il senso della nostra fragilità. Tempo di pensieri muti, di preghiere dedicate a chi non c'è più e, per noi qui, di invocazioni, perché al momento del trapasso non restiamo soli, senza qualcuno accanto. Di altrettanto terribile c'è soltanto il non avere un corpo su cui pregare e un luogo dove inginocchiarsi. È così da sempre, la morte proprio come la vita non basta immaginarla. Va osservata, avvicinata, toccata. È una forma di rispetto per chi se n'è andato, è una necessità per chi resta. La madre che non trova il cadavere del figlio non può elaborare il lutto, un padre non avrà pace finché non rivedrà gli occhi del suo piccolo. E colpiscono le testimonianze di chi lavora a restituire un nome ai cadaveri di nessuno, scomparsi in una fuga disperata, inghiottiti da quell'enorme cimitero che è il Mediterraneo. Per capire chi sono, si fruga nelle tasche della loro speranza: un ragazzo aveva un sacchetto con la terra del suo Paese, un altro due tessere, della biblioteca e da donatore di sangue, tanti viaggiavano con addosso la foto di famiglia. Immagini che oggi saranno inondate di lacrime ma che domani diventeranno un filo, a legare la terra e il cielo. Un ponte tra la vita che sarà e quella che resta.

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