Nei “Destini” di Stajano ritratti di vite «esaudite»
venerdì 27 ottobre 2023
Corrado Stajano dedica una serie di ritratti a figure per lui decisive, ognuna simbolo di “vite di un mondo perduto”, come recita il sottotitolo del suo Destini (il Saggiatore, pagine 266, euro 17,00). Ritratti nitidi e anche commoventi, di scrittori, registi, giornalisti, critici, altri. A cesellare e dare forma vivida a ciascuna di queste personalità, così come all’intero libro, c’è l’antefatto. Una passeggiata fatta da Stajano in compagnia di Cesare Garboli, durante la quale il secondo, con lo sguardo più esigente e penetrante di cui era capace quando qualcuno lo interessava (e non era certo sempre) gli chiese cosa lui, Stajano, trovasse decisivo, delle esistenze altrui. «I destini», fu la risposta: risposta che non solo trovò Garboli immediatamente d’accordo, da finissimo critico letterario quale era, affascinato dagli arabeschi che ogni esistenza disegna. Anche, quella stessa incandescente idea di cosa sia un “destino”, persistette tanto da divenire molti anni dopo per Stajano chiave d’accesso a questa serie di ritratti, una galleria di figure incontrare le quali è stato per lui rivelatore, “fatale”. “Destino”, a pensarci su, può leggersi come scarto tra quella che da bambini o adolescenti è parsa essere la promessa di vita dalla vita stessa “assegnata”, e quel che nel corso della strada adulta invece ci accade. Corrado Stajano non dice esattamente così, ma il suo libro conta la virtù di far riflettere proprio su quello scarto. Siamo portatori e messaggeri di un nostro avvenire fino a quando lo “emaniamo”, come aspettativa (quella che nutriamo verso noi, quella che il mondo esterno proietta su di noi). Ma siamo anche il nostro deliberato o inconsapevole disattendere a quelle stesse aspettative. E siamo quel che scegliamo, così come quel che non decidiamo razionalmente, ma che lo stesso ci succede. Se lo scarto tra l’anticipazione e l’accadere è la materia più vitale, più aderente al flusso dell’esistenza, è perché lo scarto sta a dire la nostra natura, il nostro carattere, compreso il nostro volere. Ben più che esaudire i desideri altrui, si tratta di avverare quel che, per quanto oscuramente, in principio abbiamo intuito di noi stessi. Mi è tornata in mente una breve prosa del poeta greco Odisseas Elitis (da una sua raccolta dal titolo È presto ancora). Diceva, Elitis: «Senza dubbio per ognuno di noi c’è una sensazione distinta, insostituibile, che, se non la trovi e la isoli per tempo, e non vivi più tardi con lei così da riempirla di azioni visibili, sei perduto». Essere un destino, realizzarlo, intanto diventando via via più visibili a sé stessi. Tradurre in gesti, in scelte, talvolta in virate improvvise e inattese, certe intuizioni che di noi stessi abbiamo avuto, magari molto tempo prima. Auto-individuarsi così tanto da divenire riconoscibili ai nostri occhi per primi. Non per caso, le vite narrate da Stajano sono vite “esaudite”, traiettorie biografiche di persone che “si sono trovate”. E citazione per citazione, torna in mente anche il Nietzsche di Ecce homo: «Considerarsi un destino, non volersi “diverso”. Questa è la grande ragione stessa». © riproduzione riservata
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