Natale, giorno che rincuora, scomoda e mette in cammino
sabato 23 dicembre 2023

Caro Tarquinio,

oggi voglio scriverle di Salvatore Mazza, della mia famiglia e del Natale che torna sempre. Anch’io leggevo e sottolineavo nei passaggi più densi di pensiero gli articoli del compianto giornalista di “Avvenire”. Tanti li ho ritagliati. E li conservo ancora, sparpagliati tra pagine di libri, cataloghi d’arte e pure della Bibbia. Alla vigilia del Natale del 2022 (il giorno prima della sua morte), Mazza nella sua rubrica “Su questa pietra” scriveva: «Un altro Natale è arrivato: purtroppo sarà, ancora una volta un Natale molto diverso da come lo vorremmo... Perché sarà solo un altro, l’ennesimo, “periodo amaro, pieno di fragori di guerra, crescenti ingiustizie, carestie, povertà e sofferenza. Fame”». Parole che pesano e possono adagiarsi anche su questo Natale in arrivo. Se poi consideriamo anche gli orrori di Hamas e quelli che vanno consumandosi, senza tregua, a Gaza, quell’ultimo articolo suona ancor più struggente. Infatti, Mazza ricordava: «Era il 1967, c’era stata la “guerra dei sei giorni” che aveva infiammato il Medio Oriente. Mi aveva colpito, come mi colpivano le notizie che quasi ogni giorno arrivavano sulla guerra in Vietnam. Così nel presepe, invece che i pastori, quell’anno ci misi i miei soldatini, con tanto di carri armati e un cannone puntato dritto contro la grotta... ».
Siamo al primo anniversario della morte di Mazza, sagace vaticanista e brillante commentatore. A me piace soprattutto ricordare gli articoli dell’altra rubrica che lei, da direttore, gli aveva affidato, “Slalom”, che iniziò a scrivere quando si ritrovò braccato dalla bestia feroce della Sla (Sclerosi laterale amiotrofica). Quei pezzi erano diventati parole di vita per me e mia moglie che dovevamo prenderci cura (a tutte le ore del giorno) di nostro figlio Francesco, affetto da una sindrome degenerativa. Ci toccavano, ci appartenevano quei racconti sulla sua lotta alla malattia, sullo stato di precarietà, sulle cose grandi e sulle disfunzioni della sanità, sulle crescenti difficoltà sue e della sua famiglia. Proprio come noi con nostro figlio. Mazza era serio (serissimo), ma pure tanto ironico, nel far capire che la vita con malattia può divenire una discesa a ostacoli, ma che ogni ostacolo può essere aggirato con abilità, anche quando il pendio si fa ripidissimo. Leggevo i suoi articoli come si può andare a una sorgente di acqua pura. Quelle parole che si adagiavano a meraviglia sul nostro vissuto tutto concentrato sul figlio-bambino irreversibilmente incalzato dalla sindrome di Niemann-Pick. Per questa via ho capito che nella malattia dura c’è tanta sofferenza, ma in essa c’è pure opera di luce, perché questa condizione e la prossimità a essa non permettono di fermarsi al ruvido della terra di cui siamo fatti.
Francesco è morto a Natale del 2022, lo stesso giorno e anno in cui se n’è andato Salvatore Mazza. Entrambi rinati al Padre, mentre il Cristo si andava annunciando uomo tra gli uomini. Che straordinario mistero è la vita. E pure la morte. Alle luce dell’Alto.

Mimmo Mastrangelo


Caro Tarquinio,

anche quest’anno, con l’entusiasmo di un bambino, ho raccolto tutte le mie esigue forze per non arrendermi alla vecchiaia con i suoi ritmi più lenti, e ancor più, agli acciacchi sempre più fastidiosi dei miei ottantatré anni ed ho iniziato la costruzione del presepe. Costruzione per me sacra. Mentre lavoravo, qualcosa però mi turbava. Mi sono detto: ma quale gioia potrei provare se, mentre rispolvero i miei pastorelli, chi sa quante altre donne vengono brutalmente picchiate o addirittura uccise dal proprio uomo? Se una ragazza viene giustiziata per avere indossato male il velo o per essersi ribellata a soprusi continui? E se un’altra ancora è stata uccisa da propri familiari perché voleva sposare il ragazzo che amava e non chi le veniva imposto? Come potrei essere felice se ho più che mai vivide negli occhi l’innocente Giulia Cecchettin accoltellata dall’ex fidanzato Filippo Turetta? Se alle immagini di morte e distruzioni della guerra tra Russia e Ucraina si sono aggiunte quelle di nuovo tragiche del conflitto israelo-palestinese che mi fanno tornare in mente le catastrofiche visioni di ciò che restava della mia Napoli, la città italiana che subì il maggiore numero di bombardamenti nella Seconda guerra mondiale? Quale felicità mi può trasmettere la realizzazione di un tempio o di una casetta o della grotta dove tornerà a nascere il Bambinello Gesù al freddo e, peggio ancora, al gelo dei cuori di quegli esseri umani che non hanno più alcuna umanità? Eppure, nonostante tutto ciò, ho continuato a costruire il mio presepe perché lo ritengo il più tenero messaggio d’amore di Gesù che si incarna per la nostra salvezza e per la pace nel mondo, il più coinvolgente punto di integrazione per tutti gli esseri viventi. Ho raccolto le mie pur limitate forze e ho costruito il mio presepe perché non voglio spegnere in me né l’emozione che ancora mi regala né quel sentimento di fratellanza che mi accompagna da sempre.
Raffaele Pisani

Natale è una festa che rincuora e scomoda. Intenerisce e scalda ma fa anche rabbrividire e non per il freddo (che pure alle nostre latitudini ormai spesso manca) ma per il mistero che contiene. È un tempo familiare e sorprendentemente altro, che riunisce o al contrario accentua solitudini, che accende luci, chiama ai canti e consegna a ricordi pieni di allegria ma anche di penombra. È un evento annunciato da millenni, eppure totalmente fuori dagli schemi (come altro dire del Dio che prende la nostra carne e si fa bambino?), mette letteralmente a soqquadro sonni e sogni e rimette in cammino persino quando la notte avvolge il mondo.
Qui ancora siamo, nel Natale dell’anno 2023 dell’era cristiana, qui di nuovo: nella notte che avvolge il mondo e un’umanità che non può trovare luce e salvezza, giustizia e solidarietà se non sa dove guardare, chi ascoltare e quali esempi seguire per riuscire a farla finita con le giustificazioni del male che si fa aggressione e vendetta, schiavitù e profitto ingiusto, manipolazione ed esclusione, negazione della fraternità. Ma noi, grazie a Dio, da più di venti secoli sappiamo dove guardare, e perché farlo e quali esempi seguire. Perché ce ne sono di quelli e quelle che resistono e non si rassegnano, che si spendono per il giorno nuovo che deve venire e lo fanno non perché sono speciali, ma perché sono veri e non hanno paura di passare per ingenui o troppo buoni (etichetta infamante, di questi tempi). Provo a ricordarmene per davvero anche stavolta, nel Natale di Gesù, mentre mi salgono alle labbra le parole di “Tu scendi dalle stelle” e di “Astro del ciel”.
Mi aiutano a farlo le lettere con cui dialogo oggi. Prima di tutto i pensieri sodi e commossi che uniscono le storie di Francesco Mastrangelo, «figlio-bambino irreversibilmente incalzato dalla sindrome di Niemann-Pick», e quella di Salvatore Mazza, grande persona e grande firma di “Avvenire”, amico molto caro e molto rimpianto. Due storie di forza morale e spirituale, d’amore, di malattia e di contemporanea morte proprio nel giorno di Natale dello scorso anno. E poi, insieme a questi pensieri, la confessione tenera e vibrante dell’affaticata dedizione di un uomo che si è fatto vecchio ma non distratto e che torna a “costruire il presepe” misurandosi con i più amari segni dei tempi. Riflessioni entrambe molto belle e che non hanno bisogno di commento, ma solo di accompagnamento in pagina.
Restituisco così quello che ho ricevuto. La lunga, fraterna amicizia e colleganza con Salvatore e il lavoro comune anche nei giorni in cui non sembrava più possibile a causa dell’agguato della Sla alla vita sua e della sua famiglia e alla sua indole di comunicatore «serio (serissimo), ma pure tanto ironico» (è proprio la sua fotografia!). Sono felice di avergli potuto offrire lo spazio di due rubriche sulle pagine che aveva contribuito a fare per decenni anche nell’ultima fase dell’esistenza, quando scriveva grazie a un puntatore oculare. E sono grato a Francesco Ognibene per aver elaborato con lui l’idea di “Slalom” e per avermi proposto di pubblicare anche quel diario speciale, che quest’anno è diventato libro nella collana “Pagine Prime” che “Vita e Pensiero” realizza insieme ad “Avvenire”. Vorrei far arrivare a Cristina, Giulia e Camilla Mazza un abbraccio speciale. Lo stesso abbraccio con cui, un anno dopo, mi stringo alla famiglia Mastrangelo. Ho conosciuto Francesco e gli sono stato almeno un po’ vicino attraverso le lettere di papà Mimmo (molte riservate, parte di un dialogo che va avanti da anni). C’è tanta vita nascosta e tanta sofferenza e tanta speranza “che non si vedono” ma che si possono intuire e debbono motivare l’impegno di chi fa informazione e spende opinioni, anche perché le dichiarazioni e le scelte di chi ha potere non le considerano abbastanza e, sempre più spesso, le confinano nei dibattiti sul “diritto a morire” come se il “diritto alla cura degna”, anche quando non si può guarire, non fosse un diritto certo e troppo negato. I giornali possono congiurare saggiamente per far finire questa disattenzione-deformazione. O almeno per farla diventare più scomoda e persino insostenibile. E anche questo è un pensiero buono per Natale, che è festa della serenità ma anche – per chi crede – del rivoluzionario incontro di Dio-Amore con la nostra umanità. Cristo l’abbraccia tutta intera, senza esclusioni e senza marginalizzazioni. E noi?
Grazie a Mimmo Mastrangelo e a Raffale Pisani, auguri veri di vera Festa a tutte e a tutti.

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