
Caro Avvenire, il mese scorso il Consiglio comunale di Salò ha revocato la cittadinanza onoraria a Mussolini. Premetto che non ho simpatie per il fascismo. Quando insegnavo facevo vedere ai ragazzi uno spezzone del documentario che descrive la liberazione di Mussolini sul Gran Sasso, in cui appariva come un miserabile che avrebbe pagato per i suoi crimini, escludendo ovviamente l’epilogo feroce di Piazzale Loreto. Da allora sono passati quasi cento anni. E allora io mi chiedo: la revoca della cittadinanza è un atto coraggioso? Un atto significativo? Un atto utile? Fosse stato il 1944 capirei, ma ora, ho i miei dubbi.
Stefano Bolla
Caro Bolla, come è noto, Salò ebbe un ruolo centrale nella Repubblica sociale italiana, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 e l'occupazione tedesca dell'Italia settentrionale. Divenne infatti la “capitale” del regime fascista collaborazionista sotto il controllo della Germania nazista, condividendo alcune funzioni con altre città del Nord Italia, in particolare Brescia, Verona e Milano. Durante il periodo della Rsi (fino alla prima metà del 1945) la città sul lago di Garda e i territori circostanti furono teatro di deportazioni e violenze politiche, condotte da milizie in camicia nera e forze di occupazione contro partigiani e oppositori politici.
Non mi pare vi siano prove che la popolazione locale abbia avuto un ruolo più attivo nella repressione rispetto ad altre aree del Paese, anche perché la scelta di Salò come sede della Rsi rispose a considerazioni strategiche: posizione geografica e caratteristiche del territorio. Tuttavia, giova ricordare che la cittadinanza al Duce fu concessa dal commissario prefettizio il 23 maggio 1924, prima del delitto Matteotti e della definitiva svolta autoritaria del governo Mussolini. Alla luce di tutto ciò, caro Bolla, revocare la cittadinanza onoraria non è certo un atto coraggioso, a cento anni di distanza e a ottanta anni dalle peggiori vicende del secolo scorso. Una spiegazione del ritardo nella cancellazione potrebbe essere il fatto che, nei decenni recenti, quasi nessuno se ne ricordava o se ne curava. Subito dopo la Liberazione, invece, quando avrebbe avuto una portata maggiore, la revoca fu forse considerata un provvedimento divisivo (e non indispensabile) in un contesto già lacerato dalla guerra civile.
“Oggi è un atto utile?”, lei si chiede ancora. Non particolarmente, se vuole avere la mia opinione. Ma non sempre l’utilità diretta e immediata risulta l’unico criterio di scelta. Penso sia invece un atto significativo, pur senza esagerarne i contorni. La politica della memoria è un ambito particolarmente rilevante e delicato della vita dei popoli e delle comunità. Definisce il perimetro di ciò che va ricordato ed eventualmente celebrato o condannato e, in alcuni casi, espunge dalla visibilità e dalla storia ufficiale personaggi ed eventi ritenuti malvagi o scomodi. Sono paradossali i casi dei regimi, dall’antico Egitto all’Unione Sovietica, che hanno cancellato iscrizioni e immagini o modificato fotografie per far sparire agli occhi della gente i capi caduti in disgrazia.
Riscrivere la storia dal punto di vista dei vincitori (o dei posteri) non solo rappresenta un atto moralmente discutibile ma è anche privo di reale significato, come spiega con il suo stile inconfondibile Emmanuel Carrère nel breve saggio Ucronia, da poco tradotto in italiano. Nel caso di Salò, tuttavia, non si tratta di imporre una versione edulcorata dei fatti. La decisione di annullare la benemerenza a quella che allora veniva ritenuta una figura esemplare ridice e ribadisce che tale Mussolini non era. È conoscenza comune da tempo, certo, e non si tratta di un gesto rivoluzionario (né, si spera, di un atto politico dettato da opportunismi contingenti). Semplicemente, costituisce il riconoscimento pubblico, tardivo, di un errore e di un’incompatibilità fra l’“onore” conferito nel 1924 e il giudizio storico del 2025. Nulla di più, nulla di meno.
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