mercoledì 22 agosto 2018
Tantissimi anni fa, cioè nel 1970, lessi Pietre che cantano, di Marius Schneider, spinto dall'entusiasmo di Elémire Zolla che aveva spiegato come Schneider, osservando i chiostri romanici di San Cugat, di Gerona e di Ripoll in Catalogna, aveva annotato le figure effigiate sui capitelli assegnando a ciascuna un valore musicale; quindi lesse come simboli di note le singole figure, basandosi sulle corrispondenze tramandate dalla tradizione indù, e scoprì infine che la serie corrispondeva alla esatta notazione degli inni gregoriani dedicati ai santi di quei chiostri. Abbagliante erudizione che non ho mai smesso di ammirare.
Con questo precedente, non potevo evitare di tuffarmi (siamo in estate) nel saggio di Giulia Ferraro, Simbologia di Castel del Monte. Rilettura di un'ipotesi sui rapporti tra musica e architettura, pubblicato nel più recente quaderno del Conservatorio "Giuseppe Verdi" di Milano, a cura di Massimo Venuti con Giovanni Acciai e Gabriele Manca (Edizioni ETS, pagine 228, euro 23,00).
Castel del Monte, che si erge solitario nel paesaggio collinare delle Murge, in territorio di Andria, è un enigma che da otto secoli affatica gli studiosi che finora sono riusciti soltanto a scalfirlo. Enigmatico quant'altri mai, del resto, è chi lo fece costruire, l'imperatore Federico II di Svevia (1194-1250), guerriero, astronomo, falconiere, politico antagonista del papato, protettore degli artisti da cui amava circondarsi. Enigmatica anche la destinazione del Castello, che non sembra di difesa né di delizie, con la sua pianta ottagonale e le otto torri angolari.
L'ipotesi che Giulia Ferraro intende rileggere è del musicologo Vasco Zara, autore nel 2000 del saggio L'intelletto armonico. Il linguaggio simbolico musicale nell'architettura di Castel del Monte. Zara collega le forti implicazioni astronomiche, matematiche e geometriche racchiuse nell'architettura del Castello, con le conoscenze musicali dell'epoca. In particolare, viene proposto l'antico accostamento tra pianeti e note musicali, «introducendo il concetto di “musica delle sfere”, per il quale il movimento di ciascun pianeta produce un preciso suono». È un concetto di ascendenza platonica, che Dante riprenderà nel Canto XII del Paradiso. Zara, «dopo aver associato a ogni facciata interna del pianterreno del Castello un pianeta e del piano superiore una delle gerarchie angeliche, abbina a questi una nota musicale», secondo uno schema rinvenuto in alcuni fogli liberi di un manoscritto del XII secolo, contenente il De institutione musica di Boezio. Il passaggio dal giro pagano dei pianeti al cielo abitato dalle gerarchie angeliche è scandito nella facciata nord-ovest del Castello dalla statua equestre di un cavaliere, peraltro semidistrutta: «L'immagine è quella di mediatore tra Cielo e Terra, adatta a un imperatore come Federico, autoincoronatosi, in una Gerusalemme da lui liberata, Re del Mondo contro il volere del Papa che l'aveva scomunicato, Re per grazia di Dio e non della Chiesa».
Dunque, l'architettura di Castel del Monte riprodurrebbe in forma plastica la musica delle sfere, la cui inudibilità è così spiegata da sant'Ambrogio in Exameron, II,7: «Alcuni dicono che il suono delle sfere non arriva fino alla terra, per la ragione che gli uomini, sia in Oriente che in Occidente, sedotti dalla soavità e dal fascino di quel suono originato dal movimento velocissimo dei cieli, trascurerebbero ogni dovere e attività e tutto quaggiù rimarrebbe ozioso, perché lo spirito umano sarebbe come portato in estasi da quelle musiche celesti».
Il Quaderno del Conservatorio intitolato “I volti della musica: allegoria, Spirito, realtà”, contiene, oltre allo studio di Giulia Ferraro, altri due saggi: Lutero e la riforma. Alle origini del Corale, di Ivana Valotti; Luigi Nono, al gran sole carico d'amore. La rivoluzione in musica, di Claudia Ferrari. Finché ci saranno studiosi che si dedicano ad approfondimenti come questi, il mondo non cadrà nell'insignificanza.
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