Milon e le nuove vittime della storia da cambiare
mercoledì 1 marzo 2023
Milon di Crotone è stato uno dei più grandi atleti della storia dello sport olimpico, tanto dei Giochi moderni che di quelli dell’antichità. La prima volta che vinse a Olimpia aveva 15 anni. Poi altre sei volte, fra il 540 a.C. e il 512 a.C. E poi, ancora, trionfò dieci volte ai Giochi Istmici, sei ai Giochi Pitici, nove ai Giochi Nemei. È intitolato a lui il palazzetto dello sport di Crotone, il luogo che è diventato la camera ardente per i sessantaquattro – al momento in cui scriviamo – corpi che hanno trovato la morte nel mare davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro. Sessantaquattro corpi allineati in un palazzetto dello sport, tra loro dodici minori, due gemellini di pochi anni, un bimbo di pochi mesi. Non si conosce ancora con esattezza il numero dei dispersi, chissà quale sarà il bilancio finale, chissà quanti corpi resteranno in fondo al mare ad aumentare il numero di coloro che riposano per sempre nel più grande cimitero d’Europa, il Mar Mediterraneo, chissà a quale micidiale guerra penseranno archeologi del futuro che troveranno quei resti umani in fondo al mare. I sessantacinque corpi sinora strappati al mare, invece, sono lì, in un luogo dedicato allo sport, ai suoi messaggi di inclusione, fratellanza, pace. Un luogo dedicato a uno dei più grandi olimpionici della storia, nato in Calabria, al centro della Magna Grecia. Da quelle spiagge Milon partiva, attraversava quel mare quando lo sport era ancora capace di fermare le guerre, per andare a vincere a Olimpia, lottando contro atleti greci o dell’Asia Minore. E attraversando quel mare tornava, per essere portato in trionfo nella sua Crotone. Sono passati duemilacinquecento anni. La storia la bellezza, il destino, la fortuna del nostro Paese, anche in virtù della sua conformazione geografica, del suo essere un gigantesco pontile nel Mare più bello e tremendo del pianeta, è quella di essere stato crocevia di culture, culla di accoglienza, avamposto di solidarietà. Milon, il campione olimpico a cui è intitolato il palasport di Crotone, morì attaccato da un branco di lupi, mentre era intrappolato nel tronco cavo di un ulivo che, ormai anziano, aveva cercato di spaccare come ultima prova di forza. Non ci era riuscito e quei lupi rabbiosi, approfittando del corpo vulnerabile del vecchio campione, lo avevano orrendamente sbranato. Purtroppo, anche in questo caso, la storia non cambia. C’è chi è sempre pronto a placare la sua fame, dilaniando a morsi la carne di chi è più fragile, di chi è intrappolato da qualcosa più grande rispetto alle proprie forze, di chi è disperato. «Come cristiani, memori della parola del Vangelo, insieme alle donne e agli uomini di buona volontà e alle numerose associazioni umanitarie impegnate nel Mediterraneo, crediamo sia necessario rispondere ai tanti interrogativi ancora aperti sul naufragio di Cutro. Si aprano una volta per tutte i tanto attesi corridoi umanitari, si agisca sul diritto di asilo, si lavori sull’integrazione. Facciamo insieme di questa terra un giardino fecondo di vita, in cui celebrare e sperimentare la convivialità delle differenze». Lo ha detto l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice. Possiamo decidere di essere come lui. O come i lupi di Milon. © riproduzione riservata
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