domenica 1 marzo 2009
Una legge che impedisse la sospensione anche della nutrizione e dell'idratazione ai malati equivarrebbe a una «sopraffazione» nel «governo del corpo» mentre il «ruolo del diritto» sarebbe quello di «custode dell'autonomia di ciascuno» e di «sottrarre la vita alla dipendenza dal potere medico». Insomma: evitare che, nonostante la già avvenuta «costituzionalizzazione della persona», «la biopolitica torni con la sua pretesa di impadronirsi del corpo». Così, in sintesi, il giurista Stefano Rodotà scrive su La Repubblica (venerdì 27) in polemica con coloro che «invocano in modo largamente abusivo il principio di precauzione o capovolgendo il significato delle previsioni dell'Onu su alimentazione e idratazione forzata». Rodotà mira a ribadire «il punto cui è giunto il cammino civile e giuridico» nel «garantire non solo al morente, ma a tutti noi la libertà in quella fase estrema del vivere che è appunto il morire». Oltre a ridurre, in stile materialista, la persona a «corpo», la professione (missione) medica a «potere» e il principio di precauzione ad «abuso», cioè oltre a stravolgere le idee di uomo, di diritto e di civiltà, qui il giurista trascura che il «cammino» e la prassi " giuridici ma non civili " sono giunti anche a stabilire quando una persona può essere uccisa per fame e per sete o mediante l'aborto, congelata per servire a futuri impieghi, creata artificialmente in provetta, gettata, come si usa dire, nel lavandino quando non serve più e mira, infine, ad affettarla (clonazione) per ridurla a una sorta di medicinale. Invece di «costituzionalizzare» l'uomo, proviamo a umanizzare la Costituzione e il diritto. Anche per non giuridizzare il suicidio. Aggiunge a tutto ciò sull'Unità (venerdì 27) il filosofo della scienza Giulio Giorello che «la "sacralità" della vita non è altro che una retorica per poter prevaricare le libere scelte di coscienza dei cittadini e delle cittadine». No: la retorica veterofemminista è tutta sua, se ancora oggi pensa che la parola «cittadini», escluda le cittadine.

TEOLOGIA E DIOCESI
Ogni venerdì la "teologa" Adriana Zarri scrive le sue «parabole» su il Manifesto. Nell'ultima puntata (il 27) confessa: «Non sapevo che esistesse una Compagnia di Maria» (è la notissima "Opus Mariae", più conosciuta come "Focolari") e le attribuisce un episodio di pedofilia perpetrato «nella stanza delle confessioni della diocesi di Santa Maria del Pianto a Verona». La «stanza di una diocesi» che, per di più, non esiste? Le diocesi non hanno «stanze» e a Verona non c'è nemmeno una parrocchia con questo nome.

LE PROPORZIONI
Hanno suscitato scalpore i numeri degli stupri diffusi dal Viminale: il 60 per cento commessi dagli italiani, il 40 da stranieri e, in particolare, il 7,8 da rumeni. Liberazione (mercoledì 25) ha esultato: evviva, «Stupratori, il 60% sono italiani»! Se quel giornale calcola le percentuali alla maniera di Carlo Flamigni, addio Rifondazione. Non hanno capito che quel 60% è stato commesso dal 95% della popolazione mentre il 7,8 è opera dell'1,5. In proporzione, cioè se quell'1,5% fosse il 95, i suoi stupri sarebbero il 494%. Non bisogna colpevolizzare tutti i rumeni, ma nemmeno sobillare un razzismo alla rovescia contro gl'italiani.
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