giovedì 25 maggio 2023
È sempre bello tornare a Pescara, lasciandosi dietro, per chi viene da Roma, con la macchina o in autobus, le cime spesso innevate dei monti abruzzesi, nel fantasma comunque vivo di Ignazio Silone. L’Adriatico appare giù in fondo, come una lastra scintillante nei giorni d’estate, bava di lumaca in quelli invernali, oltre il groviglio artificiale di circonvallazioni e assi attrezzati in mezzo ai pontili e le indicazioni stradali. Il grande parcheggio antistante la stazione ferroviaria assomiglia a un caravanserraglio che introduce ai viali verso il mare, in un panorama orizzontale di case basse e squadrate, talvolta asimmetriche, tali da proteggere e quasi nascondere la riviera. La città possiede un’animazione meridionale pur essendo al centro dello Stivale che ho sempre apprezzato e condiviso, specie nei numerosi incontri avuti coi ragazzi nelle scuole in cui sono stato. Mi è già capitato di scandire questa inclinazione popolare nella forma del disincanto incarnata dai due scrittori pescaresi più rappresentativi, nati entrambi in corso Manthoné: Gabriele D’Annunzio, pronto a passare, senza soluzione di continuità, da una maschera all’altra, ed Ennio Flaiano, capace di conquistare, nello stile appuntistico, una distanza ironica dall’esperienza della realtà che pure lo trafisse. © riproduzione riservata
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