sabato 9 luglio 2022
Francescano, diplomatico, uomo di Curia, missionario fino in Papuasia, libero e gioioso, Marco Malagola nasce a Luino nel 1926 e nel 1941 è novizio a Varallo Sesia: tra guerra e stragi. Il 14 agosto 1944 è testimone unico della strage di 5 giovani partigiani a Quarona (Vc), e da allora pace e libertà, eguaglianza e difesa di poveri e ultimi sono la sua vita intera. Nel 1950, non ancora prete chiese ai superiori di andare missionario nell'isola di Taiwan, ma giunse inattesa la chiamata in Vaticano come segretario particolare di Angelo Dell'Acqua, allora sostituto. Anni di silenzioso lavoro con Dell'Acqua accanto a papa Giovanni e a Paolo VI e grandi trasformazioni, dopo il Concilio, sia in Curia che nella diocesi di Roma nei rapporti con la Santa Sede. Il 12 gennaio 1968 Paolo VI volle Dell'Acqua cardinale vicario a Roma, ed ebbi occasione di contatto diretto e quindi di conoscenza amichevole e fraterna, durata fino alla sua morte con il francescano mite che aspirava ad essere missionario. Ma Dell'Acqua morì improvvisamente a Lourdes, e fu sostituito dal “secondo” vicegerente Ugo Poletti, il più diverso possibile dal suo predecessore. Ovviamente il mite padre Marco prese atto in silenzio della nuova realtà che avrebbe segnato per tanti anni sia la Chiesa che la Diocesi di Roma, e colse l'occasione di realizzare il suo sogno precedente e cioè andare missionario in una terra la più lontana possibile, scelta da lui stesso in Papua Nuova Guinea, l'isola di Yemnu, celebre per la presenza della tribù dei Kanaka, i più estranei alla realtà occidentale. Seguirono lì anni difficili per superare la barriera delle lingue, con la constatazione degli insuccessi e dell'isolamento, con 30 villaggi lontani tra loro anche molti giorni di viaggio, tra fiumi e acquitrini pericolosi. Lui li visitava rimanendo il tempo per fare il suo dovere di prete, e anche per rispondere alle necessità più umili della vita dei piccoli e degli anziani: rispettato e amatissimo. Raccontò egli stesso, dopo il suo ritorno in Italia, che una volta un capo tribù venne a trovarlo in segreto e gli chiese di colpo: "Chi è e cosa fa il tuo Dio?" Risposta felice da missionario, ma sempre francescano obbediente, e nel 1980 il Padre Generale gli affida la direzione dell'Ufficio Giustizia e Pace dell'Ordine: grandi viaggi a Gerusalemme anche nei primi mesi del conflitto israelo-palestinese. Ancora incarichi, a Ginevra con la missione permanente del Vaticano presso le Nazioni Unite e poi a Bruxelles presso la Nunziatura apostolica, per il Belgio e per l'Unione europea. Ovunque silenzioso e discreto, sereno e in pace con se stesso e con il mondo che incontra ogni giorno. Un modello di vita per chi non è contento del suo. Lui è lontano e vicino insieme: ha girato mezzo mondo, ma è restato sempre vicino al gruppo di impegno missionario della sua Germignaga, che nei primi anni del suo ministero lo ha portato a conoscenza della realtà africana in Uganda. Per problemi di salute torna a fine anni '90 a Torino, dove rimane fino alla morte mantenendo contatti con tanti amici, pur nella sofferenza che lo ha immobilizzato per anni. Mai scontroso, mai disturbato dalla presenza altrui, mai dimentico sia dei dati positivi che di quelli sofferti della sua esistenza. La morte - anche per Covid - lo trova pronto e sereno il 30 novembre 2020. E' sepolto nella cappella dei Francescani nel cimitero di Torino. Nel suo Testamento la vita forgiata nell'imitazione di Gesù Salvatore e di “Colui che a Cristo più si somiglia”»: “Vorrei andarmene in silenzio, così come sono venuto al mondo, semplicemente. Una celebrazione eucaristica semplice e gioiosa. Il gomitolo della mia esistenza è ormai giunto alla fine…La vita è un arrivederci, diceva papa Giovanni. E allora: arrivederci tutti in Paradiso!”.

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