giovedì 15 novembre 2018
Ritornano frequentemente, in parte dell'opinione pubblica, atteggiamenti di critica alla magistratura ordinaria, considerata detentrice di penetranti poteri nei confronti dei cittadini, ai quali non corrisponderebbero forme adeguate di responsabilità. Una recente pronuncia della Corte costituzionale ci consente uno sguardo più equilibrato sulla questione, e va dunque segnalata da parte di una rubrica come la nostra, per sua natura attenta ai rapporti tra sentimento popolare e attività dei magistrati: il primo comma dell'art. 101 della Costituzione, secondo cui la giustizia è amministrata in nome del popolo, non è una formula enfatica, ma il segno del forte legame che deve sussistere tra la generalità dei cittadini e tale corpo professionale.
La Corte era stata chiamata, da parte della Sezione disciplinare del Csm, a valutare la legittimità costituzionale della norma che prevede obbligatoriamente la sanzione della rimozione quando un magistrato sia condannato per l'illecito disciplinare consistente nell'avere ottenuto favori dalle parti o dagli indagati in procedimenti penali o civili pendenti nel distretto dove esercita le funzioni giudiziarie. Secondo la Sezione, la norma sarebbe irragionevole sia perché tratterebbe in modo più grave ipotesi tra loro assimilabili, sia soprattutto perché imporrebbe un automatismo senza lasciare al giudice disciplinare la facoltà di valutare il grado di offensività della condotta. Il ragionamento del giudice delle leggi è il seguente. La norma impugnata è volta sia ad evitare che il magistrato possa essere indotto a restituire favori interferendo su processi pendenti, sia a tutelare l'immagine di imparzialità della funzione giudiziaria. Il legislatore ha valutato, non irragionevolmente, che soltanto in presenza di quei gravi fatti ricorra la lesione di entrambi i beni tutelati. Quanto all'automatismo – e qui sta il profilo di maggiore interesse della pronuncia –, la Corte, pure ammettendo che, in via generale, l'organo disciplinare debba poter graduare la sanzione nel caso concreto, esclude che ciò si imponga quando, come nelle ipotesi che concernono i magistrati, essi siano tenuti, «più di ogni altra categoria di funzionari pubblici», a conformare le proprie condotte ai più rigorosi standard di imparzialità e correttezza, e altresì ad apparire imparziali agli occhi della collettività, per non minare la fiducia dei consociati nel sistema giudiziario, «valore essenziale per il funzionamento dello Stato di diritto». Viene in mente un noto passaggio del "Commento allo Statuto del Regno" di F. Racioppi e I. Brunelli, nel quale, oltre un secolo fa, si legge che «nessun funzionario dello Stato deve essere più indipendente del giudice, e nessuno più disciplinato». Insomma: massima indipendenza, ma anche disciplina e responsabilizzazione.
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