mercoledì 6 giugno 2007
Il vero insegnante di successo non è quello che dall'alto pompa delle nozioni ad alta pressione in ricevitori passivi. È, invece, uno studente più anziano ansioso di aiutare quelli più giovani. Siamo ormai verso la fine dell'anno scolastico e, da che mondo è mondo, gli studenti sentono questa data come una liberazione. Al di là del luogo comune presente in questo atteggiamento, legato anche alla pigrizia e alla superficialità del ragazzo, c'è un elemento di giustificazione innegabile. Spesso, infatti, l'insegnante è un pedante (e demotivato: non giudichiamo le cause, non di rado reali) trasmettitore di dati. Come diceva il clinico canadese William Osler (1849-1919) sopra citato, è solo colui che «dall'alto pompa nozioni ad alta pressione in ricevitori passivi». Insegnare, invece, è ben altro: nasce innanzitutto da una vera e propria vocazione e da una passione e si sviluppa secondo un itinerario che si percorre insieme, maestro e discepolo. Ho avuto la fortuna di essere stato alunno di grandi docenti che certamente mi comunicavano elementi di conoscenza a me ignoti ma anche non di rado mi facevano deporre la penna per ascoltarli, incantato per quel messaggio che era parte della loro visione del mondo, che raccoglieva un lungo percorso di secoli e che si apriva a nuove possibilità di approfondimento. Il famoso critico francese Roland Barthes (1915-1980) ricordava che all'inizio si insegna ciò che si sa, ma alla fine si propone agli alunni ciò che non si sa e questo vuol dire cercare insieme per approdare a nuove verità. Un po' tutti dobbiamo, allora, essere contemporaneamente maestri e alunni. Sì, perché anche il ragazzo può insegnare qualche aspetto del reale che al suo insegnante è sfuggito.
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