Ma nelle prose di Luzi più che critici e scrittori rivivono i paesaggi
venerdì 20 giugno 2014


Non
è un pregiudizio critico, è una ricorrente esperienza di lettore: per capire,
apprezzare, riconoscere più intimamente, empiricamente, umanamente un poeta ho
bisogno della sua prosa. La poesia di Mario Luzi, che ho letto e studiato a
vent’anni, mi è spesso parsa altera e astratta, febbrilmente allusiva o
cosmicamente espansa, dagli esordi ermetici degli anni trenta agli ultimi
vertiginosi poemi. Avrò torto, ma ora nel volume delle sue >Prose >(appena uscito da Aragno)
realizzato con la massima cura e competenza da Stefano Verdino, trovo lo
scrittore nel pieno della sua particolare sensibilità speculativa. Si leggono
qui alcuni eccezionali brevi testi che hanno insieme la densità percettiva del
poemetto e la lucidità intellettuale del saggio. Ogni poeta ha il suo modo di
passare alla prosa o di emergere dalla prosa. Le prose di Saba, Montale, Bertolucci,
Zanzotto, per non parlare di Leopardi, Heine, Baudelaire, non costeggiano la
loro poesia, la sostengono, la spiegano, la nutrono e a volte arrivano dove la
poesia non arriva. La prosa dei poeti è quasi un genere letterario a sé e sono
pochi i narratori che hanno saputo fare altrettanto: Gadda, Carlo Levi, La Capria,
Parise… Nei ricordi di scrittori che trovo in Luzi c’è sempre qualche dettaglio
illuminante, ma si sente che l’autore è quasi svogliato, non incontra in loro
niente che lo tocchi profondamente, come avviene invece quando parla di luoghi
e città. Anche nella sua poesia è così: è più ispirato dalle sue meditazioni e
osservazioni solitarie che dagli incontri. Degli esseri umani sembra che gli interessino
più i silenzi che le parole (meglio perciò un ligure taciturno come Montale che
un veneto loquace come Noventa). Più che negli individui, trova l’umano nei
paesaggi e negli spazi abitati, in cui sa leggere o intuire un’intera,
laboriosa, secolare vicenda terrestre: chiese, borghi, palazzi e tutto ciò che
rimane di una civiltà italica che riuscì a fondere (soprattutto in Toscana) il
rustico e l’urbano, la naturalezza, l’economia e la pura forma, il culto
virginiano della terra e l’illuminazione cristiana.

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