venerdì 25 febbraio 2011
Che peccato. Comincia finalmente agli ottavi il torneo che somiglia alla rimpianta Coppa dei Campioni e già tira aria di "tutti a casa" e sento già quel motivetto che non mi piace tanto: pover'Italia, siamo rimasti indietro, e blabla e blabla, dimenticando che appena un anno fa condannavamo gli spagnoli a farsi spettatori - come nel 1982 - di una sacrosanta vittoria dei "catenacciari" italiani sulle sturmptruppen tedesche nel tempio del Bernabeu. Milan, Roma, Inter: tre storie diverse, tre facce di una realtà che non ha una spiegazione tecnica e tattica generalizzata; le sconfitte sono rimediabili col cuore e con la fantasia ma razionalmente irrecuperabili, perché le nostre squadre hanno scioccamente sprecato la loro superiorità, prima concedendo agli avversari il vantaggio della vittoria in trasferta eppoi rivelando clamorosi quanto autonomi deficit di gioco. Milan e Roma più dell'Inter, ovviamente: perché Allegri ha mandato in campo contro il Tottenham una squadra incerta, specchio del suo noviziato europeo e delle sue paure inconsce; mentre Ranieri ha potuto solo offrire un'anticipazione del suicidio genovese, se non addirittura mandare in scena con lo Shakthar le prove generali della congiura che l'ha spinto alle dimissioni. Il caso dell'Inter è paradossalmente più grave, perché la formazione scelta da Leonardo era assolutamente all'altezza del Bayern e, a parte l'impaperata finale di Julio Cesar, gli si è opposta con grande energia e bravura, peccando solo di precipitazione e leggerezza suggerite da sciagurate voglie offensive che non hanno prodotto almeno un gol indispensabile per alleviare le pene del viaggio a Monaco. L'Inter s'è fatta addirittura beffare da un contropiede evidentemente suggerito dal signor Van Gaal, colui che predica sfracelli offensivi eppoi organizza spettacoli il cui primattore è guarda un po' Schweinsteiger, mica un poeta del gol; per non dire del fascinoso Robben, l'uomo squadra che dà spettacolo e pare esaltarsi nell'assist che manda Gomez alla botta fatale, come fa Ibra quando risolve i problemi di Seedorf mettendogli la palla-gol sul piede. E siccome a questo punto ve ne sarà venuta la curiosità, dico subito che Mourinho non si sarebbe fatto battere nel finale di partita e in quel modo: lui che predicava il calcio "expectaculo" e che nel frattempo - dopo lunghi mesi di lavoro e di acculturamento nella città esaltata dalle sfide fra Herrera e Rocco - organizzava il suo capolavoro, il supercatenaccio offensivo capace di stordire il Barcellona e annullare il Bayern. Leonardo si è troppo fidato di Ranocchia e Thiago Motta, i due difensori che - guarda caso - piacciono tanto anche a Prandelli ma non hanno la forza e la personalità di un Samuel o (guardando azzurro) di un Chiellini; e anche i cambi son serviti a poco, perché Leo, virtuoso apprendista stregone, non è tipo da organizzare una blindatura del diabolico Robben, uno che in cinquanta centimetri di campo sa darsi un'accelerazione da centometrista. Che poi il famigerato "calciotivu" italico - sparpagliato e affaticato e anche disanimato da un mercato perpetuo contrario allo spirito di squadra - non sia gran cosa, lo sappiamo: eppure il nostro campionato è divertente e ogni tanto il risveglio dell'antica cultura del "primo non prenderle" ci fa vincere un Mondiale o una Coppa. Perché dimenticarsene?
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