sabato 6 marzo 2021
La quantità come misura di tutte le cose; e la qualità s'inchina, ridotta ad accessorio trascurabile. Così del Festival di Sanremo si sottolinea innanzitutto e soprattutto il «Calo di ascolti, non accadeva da 10 anni» ("Repubblica"), nel nome dell'idolo turboliberista secondo il quale devi crescere sempre, all'infinito, e chi si ferma è perduto. Così è guerra: «Nella trincea dell'Ariston ascolti più bassi da 10 anni» ("Stampa"), «Festival flop» ("Tempo") e «Ascolti bassi e zona arancio» ("Fatto quotidiano"). Ed è naufragio: «Fiorello e Amadeus sull'isola deserta dell'Ariston» ("Stampa"). Ma perché?
C'è chi la butta in psicologia. Renato Franco ("Corriere della sera"): «Un inconscio rifiuto collettivo ad abbandonarsi alla spensieratezza in un mondo dai contorni inaspettati che non riconosciamo come nostro». Chi in politica (colpa dei comunisti?). Fabrizio Biasin ("Libero"): la Rai si è arresa senza condizioni al «diktat governativo del "o niente pubblico o niente Sanremo". Il ministro Franceschini disse così a suo tempo, la Rai si inchinò, la frittata fu servita». Chi in letteratura. Alberto Mattioli ("Stampa"): «Il festival muore ma non s'arrende, come quel cavaliere del Berni: "Così colui del colpo non accorto / andava combattendo, ed era morto"». Chi incolpa innanzitutto la pandemia, come il professor Giorgio Simonelli intervistato da Luigi Mascheroni ("Giornale"): «Troppo consumo di tv ha finito per penalizzare il Festival». A qualcuno in fondo non dispiace. Franco Bechis ("Tempo"): «La tv magari rimane spenta, recuperando un altro stile di vita. Siamo tutti cambiati, profondamente. Ma non in peggio». Chi si dà ai post-latinismi. Aldo Cazzullo ("Corriere"): «Qualsiasi spettacolo senza pubblico esce dimidiato, figurarsi il Festival». "Dimezzato" era troppo plebeo.
E madamigella qualità? «Lo spettacolo è indubbiamente elegante», ammette Renato Franco sul "Corriere". «Bravissimi Amadeus e Fiorello», sottolinea Fabrizio Biasin su "Libero". Peccato siano dimidiati, sic.
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