giovedì 1 dicembre 2011
Lupus certamente scomodo. Martedì "Repubblica" in prima: «Ho deciso di morire, l'addio di Magri ai compagni». Qui nessuna pretesa di giudizio personale. L'ho incontrato varie volte in dibattiti tra cultura e religione: serio, colto, coerente, dialettico, preciso. Stessa "Repubblica" Nello Ajello (pp. 18 e 19) lo racconta: inizi democristiani, contatti con Rodano e Melloni (Fortebraccio), che ho conosciuto e stimato, militanza nel Pci, varie rotture, "Il Manifesto" e la ricerca di un futuro per un mondo tutto diverso, i contraccolpi di espulsioni e isolamento, la morte della donna amata, la lunga depressione insopportabile e l'ultima scelta: viaggio in Svizzera e suicidio assistito in clinica. Là è scelta legittima. Che dire? Stima per l'uomo e per l'intellettuale e rammarico per l'esito drammatico, che a me pare tragico. Finito? Sì e no. Per caso stessa "Repubblica", due pagine dopo, 4 colonne di annunci mortuari e mezza pagina su 6 colonne: «L'Angelo della morte in clinica. Sette omicidi». Da Roma la vicenda di Angelo Stazzi, in foto con «la sua prima vittima». 66 anni, infermiere che «si sentiva medico mancato», e in clinica «metteva dosi letali di insulina agli anziani». Nota: «Escluso il movente del denaro». Che dire? Niente, se non registrare una sua dichiarazione: «Mi sento come Dio». Insomma, due storie diverse. Certo, ma con una domanda che resta: e se gli anziani uccisi dall'infermiere avessero chiesto, loro stessi, le dosi letali, la storiaccia di Roma sarebbe stata del tutto diversa, regolare, civile e da legittimare senza alcun dubbio? Con stima e rispetto ribaditi per la prima, forse su tutte e due le cronache qualche dubbio ha ragione di esserci. Forse…
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI