domenica 11 gennaio 2009
Sotto il titolo «La vita obbligata» (La Repubblica, martedì 6) lo storico Adriano Prosperi tratta «dell'obbligo della vita a ogni costo», cioè della «vita degli embrioni congelati e quella dei corpi senza più memoria né pensieri, con funzioni organiche alimentate da macchine», e addebita ai suoi promotori «la responsabilità di sofferenze ulteriori infinite», di «ventate di intolleranza» e di «spiriti di violenza e di ferocia ammantati di amore». Il giorno dopo su Il Riformista appare un appello: «Non lasciamo morire quegli embrioni orfani» a -270° nei bidoni di azoto liquido. Meglio «donarli alla scienza per utilizzarli nella ricerca a scopi terapeutici», cioè ucciderli. Il finto altruismo, che si traduce sempre in morte, è assai vicino al cinismo dello scrittore svedese Carl-Henning Wijkmark, del quale Repubblica recensisce (giovedì 8) il nuovo libro: «La morte moderna». L'Autore descrive il futuro utilitaristico che ci attenderebbe. Ieri, in questa pagina, se n'è occupato anche Rosso Malpelo, ma mi sia consentita qualche ulteriore nota. «Se nelle società contemporanee " dice la recensione " tutto finisce per soggiacere a una logica angustamente utilitaristica, è inevitabile che quel "tutto" includa anche il problema della morte». Infatti, Wijkmark prevede, quando i costi delle pensioni e delle cure mediche saranno troppo alti, «un momento in cui bisogna farla finita. E proponendo la stessa data per tutti, si arriverà democraticamente alla formula dell'"obbligo volontario"». Bisognerà, però, «superare la riluttanza dei familiari nel cedere i corpi delle persone care», da consegnare a «grandi stazioni terminali per il riciclaggio dei cadaveri, con impensati benefici per lo sviluppo (anche in termini occupazionali) dell'industria farmaceutica e dei concimi». Giungeremo così alla «definitiva integrazione sociale della morte» (l'aborto è stato già socializzato da trent'anni, l'eutanasia rischia di esserlo con i testamenti biologici e il caso Englaro ne è un precedente giuridico e politico), sapendo che, dopo, ci attenderanno «non più potenze ignote, ma un ulteriore contributo alla comunità in cui siamo vissuti». Eccetera e con risparmio dei particolari più macabri. Soltanto una provocazione? Può darsi, ma le premesse, come si è visto, ci sono e abbondanti.

I "LAICI" E LA RAGIONE
Secondo il "laico" Stefano Rodotà (Repubblica, lunedì 5) il filtro deciso dal Vaticano per la ricezione nel suo ordinamento delle leggi italiane sarebbe «un netto alt alla libertà di determinazione del Parlamento italiano». Rispetto a Rodotà, suo collega in "laicità", Sergio Romano si mostra (Corriere della sera, martedì 6) molto più capace di ragionare: «Non capisco perché i laici debbano essere irritati e infastiditi. La Santa Sede ha dato un buon contributo alla separazione fra lo Stato e la Chiesa».

STRAMBI RIFONDAIOLI
Nel suo ultimo inserto Queer, cioè "strambo", Liberazione celebra così, trent'anni dopo (domenica 4), la caduta del Muro di Berlino: «La società della delazione: come si viveva oltre Cortina», «Ascolto, silenzio, bisbiglio: il Terrore dello stalinismo», «Capiamo dove il comunismo ha sbagliato». Con questo handicap di comprensione, che possono rifondare i rifondaioli?
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