venerdì 28 luglio 2006
La noia è un mostro delicato che, senza strepito, con uno sbadiglio, inghiotte il mondo.«Che noia! Che barba! Cha barba! Che noia!»: il ben noto tormentone, che chiudeva ogni puntata del serial Casa Vianello, pronunciato da un"esagitata Sandra Mondaini alle soglie della notte, con accanto il compassato e rassegnato marito, costituisce una sorta di emblema popolaresco di una realtà più profonda. Essa era stata scavata nel suo significato con una certa originalità dalla Nausea di Sartre (1938) il cui protagonista approdava a una vertigine o a una ripugnanza per ogni azione: la musica, però, alla fine si rivelava per lui il vaccino liberatorio da questo morbo dell"anima. Vaccino che non viene, invece, trovato da Dino, il protagonista della Noia di Moravia (1960), un romanzo che ben illustrava questo disfacimento della voglia di vivere e di amare.Potente è la frase che ho sopra citato e che il grande poeta ottocentesco Baudelaire colloca in premessa al suo capolavoro, i Fiori del male. C"è uno sbadiglio che non affiora sulla bocca, come accade per una stanchezza o per una noia più immediata: esso, invece, si spalanca nel cuore e «inghiotte il mondo», spegne ogni velleità di ricerca, ogni interesse per gli altri, ogni attesa e speranza. Da allora si comincia già a vivere come morti ambulanti, le famose «ombre che camminano» del Macbeth di Shakespeare. Purtroppo questa sindrome ci impressiona quando colpisce i giovani che si trascinano per ore e ore senza meta, in branco, vagando e compiendo gesti insensati o reiterati. La noia «è figlia del nulla e madre del nulla», scriveva Leopardi, consapevole di quanto essa sia in sé sterile ma anche contamini tutto ciò che tocca. Bisognerà, dunque, reagire prima che essa ci annebbi cuore, mente e spirito.
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