domenica 13 marzo 2011
«Ho fatto il testamento biologico», annuncia Umberto Veronesi (La Stampa, martedì 8) e ce ne mostra anche il testo, in cui ai medici che dovessero prendersi cura di lui «in caso di lesione cerebrale irreversibile», ordina di non farlo. Fatti suoi, anche se un «testamento» regola le cose dopo la morte e non prima; e se le sue principali motivazioni non fossero il cosiddetto «diritto di morire» e quello di «autodeterminazione», di cui parla anche il costituzionalista Stefano Ceccanti (Europa, sabato 5), ma che non sono scritti da nessuna parte. Qualcun altro, per esempio la ex senatrice Erminia Emprin Gilardini (Rifondazione comunista), chiama in causa (Liberazione, martedì 9) la libertà poiché - scrive - cancellare il diritto di morire equivale a «cancellare [le persone] dallo statuto di cittadinanza». Davvero la morte volontaria produce cittadinanza? E, se non è un sacrificio eroico a beneficio di altri, è davvero libertà? Quale libertà esiste se non si è vivi? Anche chi con la propria morte rende una testimonianza di fede non sacrifica forse il suo bene maggiore, che è la sua libertà? La pena di morte, dove ancora la si pratica, mira a privare in modo radicale un uomo della sua libertà. Infine sull'Unità (sabato 5), Carlo Troilo, già giornalista Rai, annuncia il suo «digiuno di dialogo» contro la legge sulla fine della vita. È lodevole la sua prudenza: digiuna, ma non sul serio. In questa materia, come alla Rai, si vede "di tutto di più" (lo slogan è sua invenzione).

La furbetta delle parole
La scrittrice Silvia Balestra lamenta (l'Unità, lunedì 7) che «l'uso ideologico delle parole non è per niente morto e nemmeno malato, anzi gode di ottima salute». Così «i furbetti delle parole ne approfittano». Ci sarebbe molto da dire sull'«uso ideologico» delle parole. Qualche esempio facile: «interruzione volontaria di gravidanza», «pillola del giorno dopo», «eutanasia». La Balestra, però, trascura questi casi di furbizietta linguistica e tira in campo chi «chiama "scuola libera" la scuola privata». Per lei la privata (cioè cattolica) si contrappone alla "pubblica" ed è ideologica e costrittiva. Invece anche le scuole che lei accusa sono pubbliche, perché fanno parte, per legge, del servizio pubblico scolastico, composto di scuole "statali" e "paritarie". Queste ultime realizzano la libertà costituzionale di insegnamento. "Private" sono, invece, quelle non riconosciute. Giochi furbetti di antilingua per screditare ciò che spesso ha più buona fama di ciò che è statale e che allo Stato, nonostante i modesti contributi, fa risparmiare ogni anno sei miliardi di euro. Scuole, cioè "senza oneri per lo Stato".

Lo sciopero dei geni
Neoevoluzionisti in agitazione: nelle pagine "TuttoScienze" della Stampa (mercoledì 2) un ampio servizio sulla stranezza delle scimmie «orangutan» spiegava che il loro Dna «è fermo lì da 15 milioni di anni: sembra incapace di cambiare. Non ci sono duplicazioni, spostamenti o cancellazioni come avviene di solito». Invece «nello stesso periodo il ramo gorilla-scimpanzé-uomo si è differenziato a dismisura». Un inceppamento dell'evoluzione? Oppure solo uno sciopero dei geni contro lo sfruttamento ideologico di cui il Dna è ancora vittima?
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