Le ferite che lo sport può curare o riaprire
mercoledì 30 novembre 2022
«Un battito d’ali di una farfalla a Pechino può causare un uragano a New York». Si tratta di una delle metafore più evocative della “teoria del caos”, sviluppata nel corso degli anni 60 del Novecento da Edward Lorenz, ma probabilmente ispirata da uno degli scrittori di fantascienza più straordinari mai vissuti, Ray Bradbury. È un “Effetto farfalla” ciò che si determina nei sistemi complessi quando, a causa di impercettibili variazioni, si generano effetti a catena molto rilevanti e assolutamente imprevedibili in un periodo di tempo abbastanza lungo. In realtà, questo effetto succede costantemente e incessabilmente, magari siamo soltanto noi che non lo comprendiamo, che non riusciamo a capire e ci limitiamo a vederne soltanto gli effetti terminali. È molto più complicato risalire alle origini, perché di solito, quelle origini sono molto più lontane nello spazio e nel tempo e ci appaiono scollegate dagli effetti visibili, che si manifestano davanti ai nostri occhi. Può, dunque, un goal al novantaduesimo di una partita del campionato del mondo di calcio in Qatar, scatenare un uragano a Bruxelles? La “farfalla” che ha sbattuto le ali in questione si chiama Azakaria Aboukhlal, attaccante della nazionale del Marocco, nato in Olanda e in forza al club francese del Toulouse. Il suo gol al novantaduesimo ha messo la parola fine alla partita del Marocco contro il Belgio, siglando una vittoria storica per la nazionale nordafricana. Calcio? Certo, ma come sempre non solo calcio. Il 30 giugno 1960, più di sessantadue anni fa, il re Baldovino, zio dell’attuale re del Belgio Filippo, si trovava a Léopoldville, l’attuale Kinshasa, per proclamare l’indipendenza del Congo. In quell’occasione il Re pronunciò un discorso caratterizzato da un estremo paternalismo e fu colto di sorpresa quando un uomo, il primo ministro congolese che non avrebbe dovuto parlare, si alzò e intervenne. Quell’uomo era Patrice Lumumba e ricordò, davanti al sovrano, i crimini del colonialismo belga. Ancora oggi quell’evento è scolpito nella memoria collettiva africana. Lumumba trovò la morte sette mesi dopo quel discorso, in circostanze impossibili da decifrare. La Commissione parlamentare belga incaricata delle indagini dell’omicidio si sentì raccontare, quarant’anni dopo, dall’autore materiale dell’omicidio che il corpo del primo ministro venne dissotterrato, fatto a pezzi con un’accetta e poi sciolto nell’acido che si usa per le batterie delle automobili, dentro a un barile. Un paio di anni fa re Filippo, attuale monarca del Belgio, è stato il primo sovrano ad aver espresso «profondo rammarico per le ferite» inflitte durante il periodo coloniale nell’attuale Repubblica democratica del Congo. La Repubblica democratica del Congo non è il Marocco e gli pseudo-tifosi che hanno devastato il centro di Bruxelles dopo il gol di Aboukhlal sono violenti teppisti, senza se e senza ma. Credo che nessuno di loro sappia neanche chi sia stato Patrice Lumumba. Tuttavia, l’eredità di ogni guerra e di ogni conflitto è sempre una cicatrice che, anche quando ragioni e ricordo di quel conflitto sono svaniti, è come se restasse impresso nel Dna, per tantissimo tempo. Un processo efficace di inclusione (e non solo di integrazione) ha purtroppo modalità che non decidiamo a tavolino, ma deve restare obiettivo comune. Lo sport, e nello specifico il calcio, possono ammorbidire o esasperare quei tessuti cicatriziali. È un fatto di grande responsabilità di tutti: attori e spettatori. © riproduzione riservata
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