venerdì 22 aprile 2016
Dopo la morte di Franco Venturi, il nome di Adriano Prosperi si è affermato come di uno dei nostri maggiori storici - di un passato da cui veniamo e di cui siamo ancora, volenti o nolenti, impastati. È improbabile che i lettori di Avvenire non conoscano il suo nome, essendosi egli occupato in passato del Concilio di Trento e della pena di morte nell'Europa cristiana, di storia dell'inquisizione e di storia dell'intolleranza religiosa, e sempre con grande attenzione ai documenti. Il suo ultimo lavoro mi è parso particolarmente affascinante, proprio per il riverbero attuale del suo tema; è La vocazione e ha per sottotitolo: “Storie di gesuiti tra Cinquecento e Seicento” (Einaudi), una storia dunque in cui compaiono, e non certo da comprimari, lo stesso Ignazio e lo stesso Bellarmino.Studiando le narrazioni individuali di vocazioni a entrare nell'Ordine quali sono state narrate dai protagonisti nelle autobiografie chieste a chi voleva farne parte, in maggioranza giovani e in qualche caso giovanissimi, e studiando alcuni casi in particolare, perché più documentati o più rivelatori e rappresentativi o forse perché più avventurosi e “romanzeschi”, e mettendo a confronto nell'introduzione questi scritti, per esempio, con quelli richiesti a chi voleva farne parte da altre organizzazioni (quali ad esempio il Pci italiano dell'immediato dopoguerra), Prosperi ne ricava una narrazione affascinante, per capitoli e personaggi, che potrebbe benissimo servire di ispirazione per cento film o romanzi. Certamente ci sono fanatismi ottusi e perfino ripugnanti che possono risultare da una vocazione mal controllata o male indirizzata da chi potrebbe invece avviarla verso il bene e se ne serve per promuovere ingiustizie o per esaltare poteri egoistici, dentro un fanatismo che nasce da un fanatismo più astuto, da calcoli interessati e abietti. Ma esiste anche la vocazione al ben fare, al vivere secondo morale, senza pensare al tornaconto, costi quel che costi, e di queste vocazioni il mondo odierno ha bisogno più che mai, anche se rare sono le strade non solitarie su cui possono provarsi, rari gli adulti che sanno saggiarle e indirizzarle.
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