sabato 22 aprile 2006
Oggi la casa ha perduto il suo splendore patriarcale: su di essa non pesa la memoria delle generazioni passate e non tiene imprigionati i secoli futuri. Accade un po' in tutte le città storiche: quando col treno avanzi nelle loro periferie, non riesci a capacitarti (se appena hai un po' di gusto estetico) come sia stato possibile erigere quartieri così orrendi e abitazioni più simili ad alveari o a canili che a case per umani. Poi, una volta uscito dalle stazioni e inoltrato nei centri storici, ecco lo splendore delle vie e delle piazze, l'armonia dei palazzi, la meraviglia delle chiese e così via. Simone de Beauvoir (1908-1986), nota scrittrice francese e compagna del filosofo Sartre, coglie nel vivo la differenza tra le diverse architetture. Quelle degli agglomerati moderni sono spesso case senza memoria, senza la grandezza dello spirito, senza il respiro di secoli e senza la capacità di intuire il futuro e quindi di meritare di sopravvivere. È, questo, un fenomeno che va oltre l'architettura, anche se in essa ha una trista ed efficace testimonianza. Il famoso architetto americano Frank L. Wright osservava che «un medico può sempre seppellire i suoi errori, ma un architetto può al massimo consigliare ai suoi clienti di piantare una vite americana». Purtroppo certe curie dovrebbero avere a disposizione un vivaio di rampicanti per nascondere tante brutte chiese contemporanee. Ma la finezza del gusto, il rispetto della memoria, l'attenzione allo stile dovrebbero travalicare gli edifici ed essere una norma di vita e di comportamento. La casa può essere una proiezione di un contegno generale dei suoi abitanti, come scriveva Victor Hugo: «Dalla conchiglia si può capire il mollusco, dalla casa l'inquilino».
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