venerdì 21 novembre 2003
Doppo una notte movimentatella/ ritorno a casa che s'è fatto giorno./ Già s'apreno le chiese; l'aria odora/ de matina abbonora e scampanella./ Sbadijo e fumo: ciò l'idee confuse/ e la bocca più amara de l'assenzio./ Casco dar sonno. Le persiane chiuse/ coll'occhi bassi guardeno in silenzio./ Solo m'ariva, da lontano assai,/ er ritornello d'una cantilena/ de quela voce che non scordo mai:/ "Ritorna presto, sai? Sennò me pijo pena""./ E vedo una vecchietta che sospira e m'aspetta. Qualche mese fa è stata pubblicata, a cura di Luciano Luisi, un'antologia di "versi per la madre", In queste braccia (San Paolo). Ascoltando le 92 voci poetiche che cantano, ciascuna a suo modo, l'amore e il legame con la propria madre, ho scelto le parole semplici e tenere di Trilussa, il noto poeta dialettale romano (1871-1950). Egli raffigura un quadretto di vita che soprattutto ai nostri tempi è quasi quotidiano: figli e figlie che trascorrono intere notti fuori casa, lasciando sempre in agitazione i genitori, almeno quelli che non riescono a ignorare i rischi a cui va incontro la loro creatura. Certo, ci può essere un'apprensione eccessiva o un possesso quasi geloso nei confronti dei figli. Ma, come accade anche a me quando rientro da qualche viaggio a notte fonda, il vedere ragazzini ancora delle Medie fuori dai locali pubblici o per
strada a quelle ore pone un interrogativo sui loro genitori. Tra l'altro, è noto ormai cosa significhi la frase "strage del sabato sera" coniata dai giornali" Essere genitori è forse più arduo oggi che in passato e l'impegno che questa vocazione richiede non sempre è ben considerato ed esercitato. E i figli dovrebbero più spesso varcare le soglie della superficialità per comprendere il loro impegno in famiglia e nel mondo.
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