martedì 4 ottobre 2016
«Chi esorta i giovani, chi, in così gran crisi di buoni maestri, istilla negli animi la virtù, chi afferra coloro che si precipitano correndo verso gli arricchimenti e le dissolutezze e li dissuade, o, se non altro, di sicuro li frena, questi svolge un compito pubblico anche nel privato» (Seneca, De tranquillitate animi, 3, 4).Molti di coloro che coltivano le arti liberali, sentendosi assediati da una turba nemica che di solo guadagno e di null'altro se non di ciò che si compra con l'oro va a caccia, han creduto che il modo migliore per difendere la letteratura, la filosofia e in generale tutte le buone arti, in mezzo a una così diffusa e servile brama d'utilità, fosse d'affermarne l'inutilità, con una certa affettazione di eccellenza. Certo è vero che solamente chi non bada solo al proprio interesse e non è catturato e spinto da un tornaconto personale è libero dal comune servilismo. Ma, per quel che mi riguarda, quando sento questi termini d'«utilità» e «inutilità», non so perché, nel discorso avverto un sapore di mercato, a tal punto che quelli che tentano di combattere in questo modo, anche se forse inconsciamente, mi sembrano passar dalla parte del nemico: infatti, se utilizziamo la bilancia del mercante, mentre ci siam messi a difendere le lettere, bisognerà, alla fine, non più difenderle, bensì giustificarle. Per carità: chi è così indifferente e ignaro del bene comune a tal punto che, mentre vede alcuni intorno a sé che offrono mercanzie o cibo, altri che edificano case, medici che aiutano gli ammalati, avvocati che difendono i lavoratori, e molti altri ancora che arricchiscono lo Stato di mezzi materiali, che lo fondano con leggi, che lo rafforzano con progetti, e s'accorge che tutti costoro s'aiutano gli uni cogli altri, in questa comunanza di vita civile, abbia tuttavia la sfrontatezza di dichiarare di preferire una vita condotta nell'inerzia e di non aver nulla da dare in cambio di sì grandi benefici? Eppure, se difendiamo la cultura umanistica dicendo ch'essa è inutile, temo che la presentiamo come degna di bellimbusti e di parassiti di tal genere, piuttosto che d'uomini onesti. Perciò, smettiamo di condurre questa falsa difesa, se realmente riteniamo che gli studi umanistici siano importanti: infatti non bisogna chiamare utile o inutile, ma necessario; non moderno o antiquato, ma vitale tutto ciò che ci richiama alla giustizia, alla virtù, alla bellezza e non permette di cancellare quel che ci rende uomini.
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