martedì 3 gennaio 2017
Bisogna stabilire dei confini rispetto ai quali possiamo comprendere quale sia il bene e il male. (Cicerone, Lucullus, 129,3)
È dicembre: ora più che mai la città è in fervore. S'è data ufficialmente via libera alla sfrenatezza; tutto risuona di grandiosi preparativi. Pochi giorni fa, mentre passeggiavo per le vie della città, e pensavo a non so quali sciocchezzuole, mi sono venute d'improvviso in mente queste parole di Seneca che sembrano descrivere esattamente ciò che vedevo con gli occhi e sentivo con le orecchie. Ma Seneca non parlava in nessun modo della nascita del divino fanciullo, che ci ha insegnato, tramite il suo stesso esempio, l'umiltà, la frugalità, la temperanza dell'animo e ci ha preceduto in questo viaggio aspro e arduo con volto sereno. Scriveva, infatti, di quei giorni in cui i romani si davano a ogni sfrenata licenza, tutte le leggi venivano rovesciate, in cui gli abitanti, gli stranieri e i servi, abbandonata la severità dei costumi, non esitavano a darsi alla pazza gioia. Mentre, invece, osservo i negozi affollatissimi e pieni di ogni tipo di merce, mentre le luci splendenti, di cui sono ornate le strade, abbagliano gli occhi, mentre non saprei dire se musiche o strepiti emessi continuamente dagli altoparlanti si diffondono tutt'attorno, non posso fare a meno di pensare a persone che celebrano i Saturnali piuttosto che il Natale. Quando dunque si riversano a torme nei mercati, per sudare a comprar merci lussuose, non sento quasi nulla che riguardi l'alimento dell'amore dell'umano genere, il nutrimento degli affetti fraterni, la coltivazione delle virtù: ci preoccupiamo solo, con un'ipocrita parvenza di rispetto, di non mostrar troppo i simboli della nostra storia, temendo continuamente che gli stranieri, vedendo il presepe nelle scuole o negli ospedali, s'indignino, e ritengano che la propria cultura sia così disprezzata e messa alla berlina. Ma da questo fatto nasce un duplice svantaggio, per non dire un grande danno: da un lato, infatti, divenendo noi così sempre meno coscienti della nostra storia, non comprendiamo neppure bene chi siamo, da dove veniamo e dove dobbiamo dirigerci, e trasformiamo tutto questo clima di festa in un mercato di doni, che mettiamo sotto gli alberi senza un vero amore degli altri; dall'altro lato destiamo disgusto negli altri popoli, che ci disprezzano, non senza ragione, come una rozza e confusa massa umana priva di forma e confini, ci disistimano e ritengono che dobbiamo esser modellati in nuove e più umane figure. Noi invece, sentendo d'esser privati di confini certi, grazie ai quali i popoli non solo si dividono, ma anche son congiunti, temiamo sempre in maniera paranoica che gli altri popoli, con un improvviso attacco, invadano e occupino le nostre vite.
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