martedì 29 novembre 2016
«Tutto sarebbe sepolto nelle tenebre, se non ci fosse la luce delle lettere» (Cicerone, Pro Archia, 14)
Giove ottimo massimo, come appreso dalle fonti degli antichi, quasi subito dopo essere stato partorito, non poté scampare alla crudele avidità di Saturno se non con l'inganno d'una pietra, che diede al padre per saziarlo al suo posto. La cosa apparirebbe strana e a stento credibile, se uno non pensasse che, sotto la copertura delle favole, gli antichi poeti abbiano occultato qualcosa di più grande. Cosa? Serve una fermezza quasi rocciosa per vincere Saturno, cioè il tempo vorace, il quale suole inghiottire, sottrattolo al seno materno, ogni figlio da sé generato, non appena nato. Ma queste son certo cose note; invece comprendere che cosa sia quella costanza prossima all'eternità sembra più importante e difficile. Infatti, ovunque rivolga gli occhi in questa scena del mondo, mi vengono in mente molte cose che contro la loro volontà sono trascinate dal tempo, e ancor più altre che sono portate senza far opposizione; e non trovo nulla che sfugga al flusso dei secoli. Che dire, se la memoria stessa degli uomini, immagine del tempo quasi copiata con un disegno, è considerata caduca e labile? Orsù, chi mi porterai ad esempio, cui la dimenticanza non abbia cancellato azioni da molto compiute e non abbia corroso le recenti? In realtà solo una è la memoria cosiddetta comune degli uomini, che è tramandata ai posteri ornata con un certo splendore d'eternità. Esiteremo forse a stimare eterne e immortali le illustri scoperte dei filosofi, le opere magnifiche di poeti e artisti, che non si sono affermate in un breve periodo di vita mortale, né solo per una generazione, ma che già da molti secoli si distinguono per illustre eccellenza? Certo, questa memoria ininterrotta è immortalata, come scritta su marmo, dalla lingua dei romani, ed è ancor più perenne guardando la lingua greca: questa memoria infatti è nata nei fori e negli auditori degli antichi, nelle corti dei re e nelle celle dei monaci, e si è rafforzata con le prime università, nelle fucine umanistiche è stata rianimata come da nuova linfa, cantata dai poeti posteriori, investigata con grande studio dai filosofi, interrogata con somma reverenza dai legislatori; essa infine, sino all'inizio del secolo scorso, è stata conservata con gran sacralità, poiché ha riempito di cultura tutte le terre occidentali. Ora invece, quando si parla della fortuna di queste lingue, bisogna vedere se vogliamo fermarci sulla pietra di Giove, o precipitare nelle fauci di Saturno.
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